Le avanguardie letterarie del primo ‘900

 

Le Avanguardie storiche

 

Con il termine AVANGUARDIE si indicano movimenti artistico-culturali sviluppatesi in Europa dagli inizi del ’900 fino a circa gli anni Venti: Espressionismo, Futurismo, Surrealismo, Dadaismo .

 

In genere si parla di Avanguardie storiche per distinguerle dalle Neoavanguardie sorte dopo la II Guerra Mondiale.

 

Le Avanguardie avevano delle tendenze radicali a rompere con i codici artistici tradizionali e con le convenzioni borghesi. Rifiutando tutti i valori, gli avanguardisti mettevano in discussione il valore e il concetto di arte; infatti, secondo loro l’arte deve scuotere e sconvolgere, deve contribuire a migliorare la vita. La funzione dell’artista è quindi di costruire una vita “estetica”, dominata dall’arte. Per realizzare tutto ciò le Avanguardie fecero dello sperimentalismo il loro orientamento metodologico: operando in gruppi per abbattere ogni barriera tra le varie arti.

 

Le avanguardie del primo ‘900 sono:

 

Espressionismo, Futurismo, Surrealismo, Dadaismo che si succedono dai primi anni del secolo fino alla metà degli anni 20.

 

I caratteri comuni di tutte le avanguardie sono:

 

1  Opposizione al Naturalismo e Decadentismo: all’arte come rispecchiamento oggettivo della realtà si oppone l’arte come visione soggettiva ed espressione dell’inconscio; all’arte come contemplazione e manifestazione del sublime si oppone l’arte come produzione e come tecnica materiale. Ciò comporta l’idea della morte dell’arte che diventa oggetto e prodotto e rinuncia alla sua autonomia e alla sua stessa esistenza distinta e separata.

 

2  Alla concezione di un’arte prodotta da una persona di eccezione, si contrappone l’arte come attività di gruppo. Il gruppo di avanguardia “usa” l’attività estetica in modo politico facendone strumento di rivolta anarchica. L’arte diventa attività totale, negandosi e autocriticandosi , si giunge fino alla dissacrazione dell’arte e alla proposta di distruggere i musei (futuristi).

 

3  L’attività artistica delle avanguardie diventa internazionale e interartistica, si estende a ogni paese e attraversa tutte le arti (pittura, cinema, teatro..).

 

Il primo movimento del 900 è l’Espressionismo.

 

 

 

 

 

La ricerca di un nuovo ruolo sociale:

i crepuscolari, vociani e futuristi

 

L’industrializzazione determina una crisi dei tradizionali ruoli umanistici promossi dal modello di Carducci di intellettuale e di poeta.

 

D’annunzio vi si adatta attraverso la spettacolarizzazione della propria vita esibita e offerta all’imitazione della massa piccolo-borghese.

 

I nuovi intellettuali tendono a negare i ruoli tradizionali:

 

1.      I crepuscolari rifiutano polemicamente la tradizionale figura protagonistica del poeta-vate o del poeta ideologo e mediatore, essi affermano la vergogna della poesia;

 

2.    Il movimento dei futuristi, invece, dichiara esaurito il ruolo umanistico degli intellettuali e propone agli artisti una nuova funzione: quella di interpreti del nuovo e di esaltatori della macchina e del progresso industriale;

 

3.     Un terzo movimento d’avanguardia, i vociani, respingono sia la posizione di semplice rifiuto dei crepuscolari, sia quella dei futuristi; essi esprimono un ventaglio di atteggiamenti assai variegati.

 

 

 

In Italia si sviluppa un solo movimento di avanguardia nel senso stretto del termine: il Futurismo. La tendenza alle avanguardie è però evidente nei crepuscolari (Corazzini e Palazzeschi) e nei vociani (Rebora, Campana, Sbarbaro).

 

 

 

I crepuscolari e la vergogna della poesia

Il termine crepuscolarismo accomuna una serie di poeti che non formano una scuola unitaria ma che esprimono un medesimo gusto malinconico e “crepuscolare”.

All’apparenza i crepuscolari, con il loro atteggiamento dimesso e autoironico, possono sembrare i più lontani dalle tendenze e dagli eccessi delle avanguardie.

Nonostante tutto nella poetica dei crepuscolari sono presenti alcuni elementi tipicamente avanguardistici:

1.  Il rifiuto del sublime e di qualsiasi concezione estetizzante dell’arte;

2.  La critica alla figura del poeta con la conseguente vergogna della poesia;

3.  Il ripudio ironico della tradizionale immagine del poeta come genio;

4.  L’accettazione dello squallore piccolo-borghese e di una condizione massificata;

5. La negazione della tradizione e in particolare di quella rappresentata da Carducci, Pascoli e D’Annunzio;

6.  Il ripudio del pathos lirico e l’uso dell’ironia in poesia;

7.   L’impiego del verso libero.

 

I crepuscolari non esprimono il “crepuscolo” dell’800, ma l’alba del 900.Questa corrente ha la sua durata dal 1903 al 1911 e possiamo affermare che nascono in contrapposizione a D’Annunzio, sono disgustati da lui e dalla sua poesia e per contrastarsi al suo successo riportano scene di vita quotidiana in provincia, ribaltando la prospettiva dannunziana, infatti parleranno del poeta fragile e della donna provinciale.

 

 

I crepuscolari introducono nuove forme, nuovi registri espressivi segnati da una forte prosasticità (lessico basso e colloquiale) e nuovi temi. Portano sulla scena nuovi paesaggi (orti, sere domenicali di provincia…), nuovi personaggi (monache, vecchie, mendicanti, vagabondi…) e nuovi oggetti (piccole cose, mobilio abbandonato, specchi…).

 

Questi brandelli di vita e questi oggetti non vengono innalzati a simboli, ma colti nella loro frantumazione con un distacco ironico, una nota di umorismo surreale.

 

I punti di riferimento ottocenteschi dei crepuscolari non mancano ma hanno scarsa importanza. Importanza hanno invece D’Annunzio con il Poema paradisiaco, Pascoli come poeta delle piccole cose.

 

Il poeta crepuscolare è isolato e emarginato rispetto alla società piccolo borghese e il pubblico ha quindi un atteggiamento di indifferenza nei sui confronti.

 

 

 

Guido Gozzano (1883-1916)

l modello d’annunziano viene rovesciato e respinto dal poeta, anche se assume una grande importanza. Anche in Gozzano, come in D’Annunzio, si ritrova il binomio arte e vita, che si fondono insieme anche se con risultato completamente diverso: l’arte è una consolazione privata che ripaga il poeta delle sue frustrazioni sociali ed esistenziali e lo protegge dal mondo, e cioè l’arte prende il posto della vita come un sostituto insufficiente e misero.

 

Gozzano rifiuta la poesia come valore, in quanto secondo lui non è in grado di affermare nessun significato positivo, né di indicare prospettive presenti o future agli uomini.

 

Egli decide di fare della letteratura il luogo nel quale la consapevolezza della inutilità e dell’anacronismo della letteratura stessa è al massimo grado e per ciò scrivere significa prendere in giro se stessi.

 

Le strutture metriche e strofiche sono assolutamente regolari e tradizionali, ma numerosi elementi hanno la funzione di ironizzare tale classicità, come la ripetizione di uno stesso termine così che la regolarità metrica sembri casuale, l’introduzione di enjambements che mettono in contrasto la naturalezza del racconto e l’artificiosità de metro, l’uso di rime eccentriche. All’interno dei suoi testi che sono spiccatamente narrativi, utilizza molte parti parlate. Si assiste ad un generale inquadramento dei termini e delle strutture sintattiche alti entro coordinate stilistiche medio-basse, il poeta non rinuncia al linguaggio letterario di D’Annunzio e Pascoli ma adotta l’antidoto dell’ironia.

 

TESTO: “LA SIGNORINA FELICITA OVVERO LA FELICITA’”

 

Questo poemetto è uno dei più noti e rappresentativi si Gozzano.

 

Esso narra l’idillio tra il poeta e una giovane donna di provincia la signorina Felicita, semplice, ingenua, priva di cultura, che incarna un ideale di vita elementare e sana, lontana dagli intellettualismi e dalle astrazioni proprie del mondo dell’arte cui il poeta è legato.

 

Ella si offre come un’alternativa all’aridità sentimentale cui Gozzano era costretto dalla formazione culturale e dalla malattia. Però l’idillio tra i due viene bruscamente interrotto, in parte per opportunità sociale e in parte perché al poeta è negato l’abbandono ai facili sentimenti romantici. L’abbandono al sentimentalismo romantico può essere concesso a patto di raffreddarlo di continuo per mezzo del distacco ironico.

 

L’ambiente di provincia viene descritto con tenerezza e un senso quasi di rimpianto, tuttavia Gozzano non si abbandona mai totalmente a questi sentimenti malinconici, ma li frena con un’ironia che sottolinea il distacco tra poeta e realtà semplice a cui egli aspira.

 

C’è la presenza di termini lessicali rari, specialistici e aulici (cerulea Dora, a sommo dell’ascesa, in numeri, vetusta etc.), però il tono rimane basso, al limite della prosasticità, con costruzioni sintattiche a volte mimetiche al parlato. In questo modo la letteratura è messa in mostra nel sua carattere artificioso e convenzionale, facendo risaltare l’innaturalità del livello aulico per mezzo del prosaico, e però la letteratura ottiene un grande lasciapassare, divenendo lecito, per un poeta che non ci crede più, utilizzare i suoi materiali invecchiati, e anzi costruire la propria originalità linguistica proprio a partire dalla loro artificialità.

 

Anche qui al modello di vita elitaria di D’Annunzio viene opposto un modello di vita semplice, vissuta giorno per giorno, assaporandone i piccoli piaceri.

 

 

 

 

 

L’avanguardia futurista

 

La tendenza all’avanguardia e il sovversivismo piccolo-borghese degli intellettuali italiani si realizzano pienamente nel Futurismo. Il futurismo costituisce un movimento organizzato intorno a manifesti teorici che ne definiscono la linea in ogni campo.

 

Il futurismo, esaltando la macchina, la tecnica, la grande industria, la velocità, intende interpretare la tendenza al nuovo, al progresso meccanico e alla modernità della civiltà industriale. In questo atteggiamento si riflettono le ambiguità di una rivolta che in realtà accetta e celebra un movimento esistente: il capitalismo imperialistico.

 

Il movimento venne fondato da Marinetti, nato ad Alessandria d’Egitto nel 1876, vissuto a Parigi e morto a Bellagio nel 1944. Formatosi su autori naturalistici e simbolisti, Marinetti non riuscirà mai a liberarsi del tutto da una cultura ottocentesca, naturalistica e simbolistica.

 

Marinetti, il 20 febbraio 1909, pubblicò il primo manifesto del Futurismo affermando la necessità di abolire i musei, le accademie e le biblioteche, in quanto istituzioni che intendono salvaguardare i valori tradizionali e del passato.

 

La nuova arte deve partire dal presente, dalla realtà industriale, deve capire e esaltare la bellezza della velocità e della macchina. La celebrazione del movimento induce a glorificare la guerra, la virilità, e a disprezzare la donna e il femminismo.

 

 

 

 

 

 Fasi del Futurismo

 

La prima fase va dal 1909 al 1912. In essa è molto forte l’influenza del simbolismo e la parola d’ordine è quella del verso libero. In questo periodo aderiscono al movimento Covoni, Palazzeschi, Buzzi.

 

Alcuni di questi autori sottoscrivono un manifesto contro la poesia tradizionale, romantica e decadente. Contemporaneamente il movimento si estende a tutte le arti, dalla pittura alla scultura alla musica praticando il principio di interartisticità che è tipico delle avanguardie.

 

 

Una seconda fase del movimento va dal 1912 al 1915 ed è segnata da una serie di manifesti che pongono l’accento sul rivoluzionamento delle tecniche espressive e sulla proposta di un nuovo tipo di uomo completamente meccanizzato. Il rivoluzionamento delle forme espressive è radicale: si passa dalla proposta del verso libero a quella delle parole in libertà che presuppongono la distruzione della sintassi, l’abolizione della punteggiatura, l’uso dei verbi all’infinito, dell’onomatopea. Attraverso una catena di analogie sarebbe possibile conseguire un lirismo multilineare capace di rendere la simultaneità di fenomeni diversi. Mondo industriale e mondo naturale non vengono più contrapposti ma sono concepiti come espressione di una stessa energia originaria.

 

La terza fase del futurismo (1915-20) si apre con l’avvicinarsi del primo conflitto mondiale. I futuristi sono interventisti e vedono nella guerra e nel conflitto un modo positivo di scatenare le energie primordiali, di selezionare i popoli e le nazioni più forti.

 

 

Subito dopo la guerra i futuristi si organizzano in partito politico, oscillando fra posizioni anarchiche, democratiche anticlericali e antimonarchiche.

 

Il futurismo continua fino agli anni 20 e 30 ma senza reale incidenza nella vita culturale e politica.

 

 

 

 

 

TESTO: “IL PRIMO  MANIFESTO FUTURISTA”

 

Questo manifesto, steso da Marinetti e apparso nel 1909, ha un contenuto ideologico più che artistico: vi è un totale rifiuto del passato e un’esaltazione della modernità, della macchina, della città industriale, della folla, delle rivoluzioni urbane.

 

Compare un’ideologia improntata a celebrare gli istinti, i giovani, la danza, l’amore per la guerra, la velocità, l’aggressività, l’azione violenta. Sul piano culturale ed artistico si propone la distruzione della tradizione e del passato, delle accademie, delle biblioteche, dei musei, delle città antiche, si afferma un nuovo criterio di bellezza da ritrovare nella velocità e nella macchina e dunque nel moderno. Il moderno è estetico.

 

Lo stile è paratattico, fatto di frasi brevi e affermazioni successive, prive di sviluppo logico, martellanti sempre sugli stessi concetti.

 

La volontà è quella di scioccare, di scandalizzare. Si tratta di una scrittura che mima il gesto violento ed è dunque omogenea al proprio messaggio.

 

 

 

“MANIFESTO TECNICO DELLA LETTERATURA FUTURISTA”

 

Questo manifesto fu pubblicato nel 1912. Presenta un programma tecnico per punti con proposte riguardanti lo stile, la sintassi, l’uso delle parole e un programma ideologico.

 

Il programma ideologico si suddivide in una parte distruttiva e in una costruttiva:

 

la parte distruttiva comprende la critica della psicologia e del culto dell’interiorità, la critica della sacralità dell’arte, della sua autonomia, del sublime estetico, la critica dell’intelligenza e del calcolo razionale a cui viene contrapposta la divina intuizione;

 

la fase costruttiva muove dall’esaltazione del potere dell’intuizione e dell’immaginazione che possono cogliere l’essenza della materia che si esprime attraverso l’energia. L’uomo deve diventare sempre più espressione di tale energia trasformandosi in macchina, in uomo meccanico dalle parti cambiali.

 

Distruggendo la sintassi si distruggono i legami logici, con la conseguenza di porre in primo piano l’intuizione e l’immaginazione.

 

Per quanto riguarda la sintassi bisogna distruggerla disponendo i sostantivi a caso, si deve usare il verbo all’infinito, si deve abolire l’aggettivo, si deve abolire l’avverbio, ogni sostantivo deve essere seguito senza congiunzione dal sostantivo a cui è legato per analogia.

 

La punteggiatura deve essere assente, al massimo si possono usare i segni matematici o musicali.

 

Siccome ogni specie di ordine è fatalmente un prodotto dell’intelligenza bisogna orchestrare le immagini disponendole secondo un massimo disordine.

 

Nella letteratura bisogna distruggere l’io, cioè tutta la psicologia, bisogna sostituirlo con la materia.

 

I futuristi usano tutti suoni brutali, tutti gridi espressivi della vita violenta che li circonda. Essi fanno il brutto in letteratura e uccidono dovunque la solennità.

 

 

Le parole devono essere in libertà, si dà il via al paroliberismo.