Testo
Così discesi del cerchio primaio
Per più fiate li occhi ci sospinse
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Parafrasi
Così discesi dal I Cerchio al II, che cinge uno
spazio minore, ma contiene tanto maggior dolore che spinge a lamentarsi.
E Minosse, quando mi vide, mi disse questo,
tralasciando un momento il suo alto compito: «O tu che vieni in questo luogo di dolore, bada al modo in cui entri e a chi ti stai affidando! Non ti inganni la facilità
dell'ingresso!» E Virgilio rispose: «Perché continui a gridare?
«La prima di coloro di cui vuoi avere notizie,» mi
rispose allora Virgilio, «fu imperatrice di molti popoli.
Fu così dedita al vizio di lussuria, che rese lecito
nella sua legge tutto ciò che le piaceva, per eliminare la condanna morale che le spettava.
Vedi Paride, Tristano»; e mi indicò col dito più di
mille anime, che morirono a causa dell'amore.
Noi vi ascolteremo e vi parleremo di ciò che volete,
mentre il vento tace come fa in questo punto.
Più volte quella lettura ci spinse a cercarci con gli
occhi e ci fece impallidire; ma fu solo un punto a sopraffarci.
E caddi come un corpo privo di vita.
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Amos Cassioli, Paolo e Francesca (1870)
Stavvi Minòs, orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia...
Poscia ch'i' ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito...
"... Siede la terra dove nata fui
su la marina dove il Po discende,
per aver pace co' seguaci
sui..."
Ingresso nel II Cerchio. Incontro
con Minosse. La
pena dei lussuriosi; i morti violentemente per
amore. Incontro con Paolo e Francesca.
È la sera di venerdì 8 aprile (o 25 marzo) del 1300.
G. Doré, I lussuriosi
Usciti dal Limbo, Dante
e Virgilio entrano nel II
Cerchio, meno ampio del precedente ma contenente molto più dolore. Sulla soglia
trovano Minosse, che ringhia con aspetto animalesco: è il giudice infernale, che ascolta le
confessioni delle anime dannate e indica loro in quale Cerchio siano destinate, attorcigliando intorno al corpo la lunghissima coda tante volte quanti sono i Cerchi che il dannato deve
discendere. Non appena vede che Dante è vivo, lo apostrofa con durezza e lo ammonisce a non fidarsi di Virgilio, poiché uscire dall'Inferno non è così facile come entrare. Virgilio lo zittisce
ricordandogli che il viaggio di Dante è voluto da Dio.
I lussuriosi (25-72)
Superato Minosse, Dante si ritrova in un luogo buio, dove soffia incessante una terribile bufera che trascina i dannati e li sbatte da un lato all'altro del Cerchio. Quando questi spiriti
giungono davanti a una «rovina», emettono grida e lamenti e bestemmiano Dio. Dante capisce immediatamente che si tratta dei lussuriosi, i quali volano per l'aria formando una larga schiera simile
agli stornelli quando volano in cielo.
Dante vede poi un'altra schiera di anime, che volano formando una lunga linea simile a delle gru in volo. Chiede spiegazioni a Virgilio e il poeta latino indica al discepolo i nomi di alcuni
dannati, che sono tutti lussuriosi morti violentemente: tra
questi ci sono Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena (moglie di Menelao), Achille, Paride, Tristano, in compagnia di più di mille altre anime. Dopo aver sentito tutti questi nomi, Dante è colpito
da profonda angoscia e per poco non si smarrisce.
G. Doré, Paolo e Francesca
Dante nota che due di queste anime volano accoppiate e manifesta il desiderio di parlare con loro. Virgilio acconsente e invita Dante a chiamarle, cosa
che il poeta fa con un appello carico di passione. I due spiriti si staccano dalla schiera di anime e volano verso di lui, come due colombe che vanno verso il nido: sono un uomo e una donna, e
quest'ultima si rivolge a Dante ringraziandolo per la pietà che dimostra verso di loro. Poi si presenta, dicendo di essere nata a Ravenna e di essere stata legata in vita da un amore indissolubile con l'uomo che
ancora le sta accando nella morte; furono entrambi assassinati e la Caina, la zona del IX Cerchio dove sono puniti i traditori dei parenti, attende il
loro uccisore.
Il racconto di Francesca. Dante sviene (109-142)
A questo punto Dante resta turbato e per alcuni momenti resta in silenzio, gli occhi bassi. Virgilio gli chiede a cosa pensi e Dante risponde di essere colpito dal desiderio amoroso che condusse
i due dannati alla perdizione. Poi parla a Francesca, chiamandola per nome, e
chiedendole in quali circostanze sia iniziata la loro relazione adulterina.
Francesca risponde dapprima che è doloroso ricordare del tempo felice quando si è miseri, ma se Dante vuole sapere l'origine del loro amore allora glielo racconterà. La donna narra che un giorno
lei e Paololeggevano per divertimento un
libro, che parlava di Lancillotto e della
regina Ginevra. Più volte la lettura li
aveva indotti a cercarsi con lo sguardo e li aveva fatti impallidire. Quando lessero il punto in cui era descritto il bacio dei due amanti, anch'essi si baciarono e interruppero la
lettura del libro, che fece da mezzano della loro relazione amorosa. Mentre Francesca parla, Paolo resta in silenzio e piange; Dante è sopraffatto dal turbamento e sviene.
Il Canto V è il primo dell'Inferno che ci mostra la pena di una categoria di dannati e Francesca è il primo peccatore a dialogare con Dante: troviamo anche una figura demoniaca, Minosse, che qui rappresenta
il giudice dei dannati ed è ridotto a una bizzarra parodia della giustizia divina, essendo descritto come un essere mostruoso e animalesco, con una lunga coda che avvolge intorno a sé per
indicare ai dannati il luogo infernale cui sono destinati (Guido da Montefeltro aggiungerà il
particolare del dosso duro, cfr.
Inf., XXVII, 125). Non sappiamo da dove
Dante abbia tratto questa curiosa trasformazione, di cui non c'è traccia nei testi classici cui può essersi ispirato, ma è certo che Minosse qui si limita ad essere esecutore della volontà
divina, una sorta di strumento che agisce senza la profonda dignità che aveva in Virgilio o negli altri poeti antichi; è probabilmente anche il custode del II Cerchio, anche se nulla autorizza a
collegarlo al peccato di lussuria in quanto nel mito classico egli era descritto piuttosto come re saggio e giusto.
I lussuriosi sono trascinati da una bufera incessante, che simboleggia la forza della passione sessuale cui essi non seppero opporsi in vita (Dante li
definisce peccator carnali, / che la ragion sommettono al talento). Molto probabilmente tra essi si distingue un'altra schiera, costituita dai lussuriosi morti violentemente, tra cui oltre ai due protagonisti del Canto ci sono vari personaggi
del mito e della letteratura, come Didone, Achille, Tristano. Dante intende svolgere un discorso intorno alla letteratura amorosa, per condannarla in quanto fonte potenziale di peccato
e pericolosa per quei lettori che potrebbero essere indotti a mettere in pratica i comportamenti descritti nei libri. Non a caso i lussuriosi nominati da Virgilio appartengono quasi tutti alla
sfera letteraria o mitologica e Dante li definisce donne antiche e' cavalieri, con un riferimento preciso alla letteratura francese del ciclo arturiano (cui appartengono sia Tristano sia Lancillotto e Ginevra, citati dopo da Francesca). Dante stesso non
ha bisogno di spiegazioni per capire che in questo Cerchio sono puniti i lussuriosi e ciò per il fatto che il poeta era stato avido lettore e produttore di letteratura amorosa, quindi si sente
coinvolto in prima persona nel loro peccato (di qui il turbamento angoscioso che prova dall'inizio dell'episodio): la sua intenzione è condannare la letteratura che celebra l'amore sensuale e non
spiritualizzato, quindi ritrattare parte della sua precedente produzione poetica, rappresentata dalle Petrose e forse anche dallo Stilnovo. Francesca è un personaggio significativo a riguardo, perché il caso suo e di Paolo era un episodio di
cronaca che doveva essere ben presente ai lettori contemporanei. La vicenda, di cui non c'è comunque traccia nei cronisti del tempo, era quella di un adulterio tra Francesca da Polenta, figlia
del signore di Ravenna, e il cognato Paolo Malatesta, fratello di Gianciotto che la donna aveva sposato in
un matrimonio combinato per riappacificare le due famiglie. Gianciotto aveva scoperto la relazione e aveva ucciso entrambi.
Dante non intende affatto risarcire i due amanti clandestini della loro morte, né giustificare in alcun modo il loro peccato, ma piuttosto mettere in guardia tutti i lettori dai rischi insiti
nella letteratura di argomento amoroso. Francesca, infatti, è una donna colta, esperta di letteratura: cita indirettamente Guinizelli e lo stesso Dante, dei quali riprende alcuni versi nella famosa
anafora Amor... amor... amor, nonché le leggi
del De amore di
A. Cappellano, testo notissimo nel Medioevo e base teorica della lirica provenzale. Il suo
amore con Paolo è nato per una reciproca attrazione fisica e l'occasione è venuta proprio dalla lettura di un libro, il romanzo cortese di Lancillotto e Ginevra (che Dante sicuramente non
conosceva direttamente, ma attraverso qualche volgarizzamento tardo). La loro colpa non è tanto di essersi innamorati, ma di aver messo in pratica il comportamento peccaminoso dei due personaggi
letterari; hanno scambiato la letteratura con la vita e ciò ha causato la loro irrevocabile dannazione.
La pietà provata da Dante verso
di loro non è dunque una generica compassione né la riabilitazione del loro amore clandestino (errata è dunque l'interpretazione dei critici romantici, come De Sanctis), ma è il turbamento
angoscioso di uno scrittore che prende coscienza della pericolosità della poesia amorosa da lui prodotta in passato. Non è del resto un caso che una lussuriosa sia il primo dannato descritto da
Dante, mentre gli ultimi penitenti del Purgatorio (Canto XXVI) saranno Guido Guinizelli
e Arnaut
Daniel, condannati proprio in quanto poeti amorosi.
G. Doré, Minosse
Minosse (vv. 4 ss.) è descritto da Dante con attributi animaleschi, in modo molto diverso quindi da quello virgiliano nel libro VI
dell'Eneide (non è chiaro a quali
fonti faccia riferimento). Virgilio lo zittisce con la stessa formula già usata con Caronte inInf., III, 95-96.
Al v. 20 Minosse sembra citare Matth., VII,
13: spatiosa via est, quae ducit ad perditionem («la via che conduce alla perdizione è assai larga»).
Non è chiaro cosa sia la ruina citata al v. 34, di
fronte alla quale i lussuriosi bestemmiano Dio: si è pensato a una frana prodotta dal terremoto il giorno della morte di Cristo, simbolo per i dannati della giustizia divina.
Le similitudini con gli uccelli ai vv. 40, 46, 82-84 (stornelli, gru, colombe) si spiegano col fatto che essi erano spesso usati come immagini nella poesia amorosa.
I lai (v. 46) sono le
strida emesse dalle gru, ma il riferimento è anche ai Lais,
genere di poesia franco-provenzale e ai lamenti amorosi citati dai trovatori occitanici. Le colombe appartenevano al corteo di Venere, dea dell'amore, e vengono mostrate mentre
vanno al dolce nido, dove si
accoppieranno.
La terra che 'l Soldan corregge (v. 60) è
Babilonia in Egitto, ma qui Dante la confonde probabilmente con la Babilonia capitale del regno assiro.
Al v. 90 sanguigno indica il colore rosso
del sangue, come perso (v. 89) indica un colore
scuro misto di porpora e nero (Francesca intende dire che lei e Paolo sono morti di morte violenta).
Il re de l'universo citato da Francesca (v.
91) è probabilmente Dio, ma alcuni commentatori hanno ipotizzato che potrebbe essere il dio Amore, cui la donna era devota in vita.
La rima ai vv. 95, 97, 99 (voi / fui /
sui ) è siciliana (al v. 95 alcuni mss. leggono vui).
Al v. 96 ci tace vuol dire «qui
tace» (ci è avv. di luogo), ma
alcuni mss. leggono si tace.
Il v. 100 (Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende) riprende due versi di Guinizelli e Dante, ovvero Foco d'amore in gentil cor
s'aprende (dalla canzone Al cor gentil rempaira
sempre amore) e Amore e 'l cor gentil sono
una cosa (Vita
Nuova, XX). Invece il v. 103 (Amor, ch'a nullo amato amar
perdona) riprende un concetto espresso nel De
amore, di A. Cappellano.
I vv. 121-123 sono una citazione di un passo di Boezio (De consolatione philosophiae, II, 4), ma non è certo
che il dottore di Dante sia Virgilio,
poiché Francesca potrebbe alludere proprio a Boezio.
Nel romanzo cortese citato da Francesca (vv. 133 ss.) è in realtà la regina Ginevra a baciare Lancillotto, nell'ambito del rituale dell'omaggio amoroso che ricalcava l'investitura cavalleresca:
può darsi che Dante avesse letto un tardo volgarizzamento del testo francese in cui la situazione era rovesciata o descritta in modo ambiguo. Galeotto è Galehaut, il siniscalco di Ginevra che faceva da mallevadore ai due amanti del romanzo.
Il verso finale del Canto (142) è assai simile a quello che chiudeva il III (v. 136: e caddi come l'uom cui sonno piglia).