Premessa
Le Origini sono il periodo in cui si colloca la nascita della letteratura in volgare in Italia, durante l'età comunale nel Duecento. Si è trattato ovviamente di un
percorso lento e graduale, iniziato con la fine dell'Impero Romano d'Occidente e la rottura dell'unità del mondo latino, attraverso l'emergere delle lingue volgari sino al loro utilizzo per
esprimere contenuti letterari non più legati solo ad esigenze pratiche. La nascente letteratura volgare ha subìto varie influenze dalle altre tradizioni esistenti, dalla letteratura latina
medievale legata al mondo ecclesiastico, alla letteratura franco-provenzale, senza dimenticare il sistema dei valori mercantili del mondo comunale dove essa si è di fatto sviluppata. Ciò spiega
sia il ritardo con cui la letteratura italiana si è formata (a causa della frammentazione linguistica e politica dell'Italia del XIII sec.), sia la varietà di filoni e generi letterari cui essa
ha dato vita nel primo periodo (con un filone di poesia religiosa, un altro di poesia comica, fino alla lirica amorosa nella quale sono nate le prime scuole vere e proprie tra cui lo Stilnovo).
Rientra pienamente in tale periodo l'opera del primo grande poeta italiano in volgare, Dante Alighieri, ancora profondamente legato a schemi culturali e letterari del
Medioevo, mentre Petrarca e Boccaccio appaiono più moderni e proiettati verso la rivoluzione umanistica che, iniziata nel tardo Trecento,
proseguirà nel XIV sec.
Dal latino al volgare
Le lingue neolatine in
Europa
Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente nel 476 d.C. l'antica unità linguistica dell'Europa venne meno e il latino, che fino ad allora aveva accomunato gran parte delle regioni occidentali,
si frantumò in una pluralità di lingue dette "volgari", perché parlate dal "volgo" (il popolo non istruito). In realtà già nella tarda antichità il latino parlato dalla popolazione aveva subìto
un processo di regionalizzazione, differenziandosi nella pronuncia e nella morfologia da zona a zona, per cui quando il fattore di unificazione politica rappresentato dall'Impero decadde fu
naturale che le varie forme di latino "regionale" accentuassero la loro diversità, dando origine a delle parlate nettamente diverse. Questi volgari sono oggi definiti "neolatini" o "romanzi" e i
più importanti nel Medioevo furono l'italiano (in realtà un insieme di molti linguaggi, diversi da città a città), la lingua d'oïl (parlata nella
Francia del Nord), la lingua d'oc o provenzale (Francia del Sud), il castigliano,
il gallego-portoghese (Penisola Iberica), il rumeno. Il latino non esisteva più come lingua parlata in modo naturale, ma
sopravviveva come lingua scritta e nella cosiddetta letteratura latina medievale (o mediolatina), ovvero l'insieme di testi prodotti dalla Chiesa occidentale e di
argomento prettamente religioso e filosofico. Tale letteratura si distingueva da quella classica di Roma antica e proseguì sino almeno al XV sec., affiancandosi alla letteratura volgare e venendo
infine soppiantata dalla cultura umanistica, che tentava di restaurare il latino classico dei tempi di Cicerone e Virgilio (il latino medievale era infatti alquanto diverso nella morfologia e nel
lessico). La letteratura mediolatina aveva carattere europeo, in quanto accomunava gli ecclesiastici di tutto il continente che erano in grado di capirsi scrivendo e parlando all'occorrenza in
latino, mentre essi parlavano normalmente il volgare nell'uso quotidiano; essa esprimeva i valori della Chiesa e non era legata a nessun popolo in particolare, essendo in realtà la letteratura
del "popolo di Dio".
Chierici e laici. L'attività culturale dei monasteri
Monaci al lavoro in uno
"scriptorium"
Fino al IX sec. il latino era l'unica lingua usata nella scrittura ed era la lingua dei dotti, ovvero i
chierici (membri della Chiesa) che erano i soli a saper leggere
e scrivere, mentre il volgare era la lingua dei
laici (gli illetterati non facenti parte delle gerarchie ecclesiastiche, tra cui anche i membri dell'aristocrazia
militare germanica) ed era usato unicamente nelle esigenze di vita pratica. La netta separazione tra chierici e laici spiega perché in Europa per molti secoli l'unica letteratura esistente sia
stata quella mediolatina, espressione dei valori della Chiesa, dal momento che i laici erano esclusi dalla parola scritta e non potevano inizialmente essere oggetto di una comunicazione
letteraria (essi venivano istruiti tramite le arti figurative, soprattutto scultura e pittura). I monaci erano perciò i soli depositari del sapere scritto nell'Alto Medioevo e per questo i
monasteri erano dei centri culturali molto importanti in Europa occidentale, dotati spesso di ricche biblioteche dove erano conservati i manoscritti e i codici della tradizione latina classica.
Monaci specializzati nella trascrizione manoscritta dei testi, detti copisti o
amanuensi, lavoravano senza sosta negli
scriptoria,
i laboratori di scrittura annessi alle biblioteche dei conventi, e grazie alla loro opera è stato possibile conservare e trasmettere gran parte delle opere della letteratura latina classica,
destinate altrimenti ad andare in gran parte perdute (
► CINEMA: Il nome della rosa). Tra i monasteri più importanti in questo senso vi è quello di
Bobbio, fondato da S. Colombano nel VII
sec. e che arrivò a conservare circa settecento codici, mentre notevole fu anche l'attività libraria dei conventi benedettini sparsi in tutta Italia (la Regola di S. Benedetto venne fondata nel
VI sec. e diede un forte impulso al monachesimo occidentale). Petrarca viaggiò molto in Europa alla ricerca di manoscritti della letteratura latina classica e ritrovò molte opere in varie
biblioteche di importanti monasteri, tra cui l'orazione di Cicerone
Pro Archia (a Liegi) e parte dell'epistolario ciceroniano (nella biblioteca
capitolare di Verona).
Le prime testimonianze scritte del volgare
Il volgare fu usato per molti secoli solo come lingua orale, finché cominciò ad essere utilizzato anche nella redazione di alcuni documenti scritti per finalità pratiche e non ancora letterarie:
il primo esempio scritto di una lingua che pare una transizione dal latino al volgare è il cosiddetto indovinello veronese, un'annotazione a margine di un codice ritrovato a
Verona e risalente all'VIII-IX sec., una sorta di indovinello che allude all'opera di scrittura della mano che regge una penna d'oca e lascia l'inchiostro sulla pagina bianca. È evidente che la
struttura sintattica è già quella del volgare, anche se il lessico è ancora molto simile al latino:
"Se pareba boves, alba pratalia araba
et albo versorio teneba, et negro semen seminaba"
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"Teneva davanti a sé i buoi, arava i prati bianchi,
reggeva un aratro bianco e seminava un seme nero"
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Il Giuramento di Strasburgo
(ant. ms.)
La prima vera testimonianza scritta in Europa di un volgare romanzo risale invece all'842 ed è ilGiuramento di Strasburgo, ovvero la solenne cerimonia con cui Carlo il Calvo (re
dei Franchi) e Ludovico il Germanico (re di Germania) si giurarono reciprocamente fedeltà nella lotta comune contro il fratello Lotario: i due re giurarono ciascuno nella lingua dell'altro e i
rispettivi eserciti ripeterono la formula nei loro propri volgari, ovvero la lingua d'oïl e l'antico tedesco. L'evento venne registrato da uno storico dell'epoca che trascrisse le parole in
antico francese nella sua opera in latino, costituendo così il più antico documento scritto di quel volgare. Risale invece al 960 il primo esempio scritto di un volgare italiano, il
cosiddettoplacito capuano pronunciato da un giudice della città campana (il placito era una sentenza emessa per dirimere una
controversia): un laico aveva rivendicato il possesso di un terreno appartenente al monastero benedettino di Montecassino e il giudice ascoltò una testimonianza che appoggiava la difesa
dell'abbazia ("Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki kontene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti", ovvero "so che quelle terre, in quei
confini di cui qui si parla, furono possedute per trent'anni dal monastero di S. Benedetto"). La sentenza riportò le parole in volgare del teste e tale documento fu il primo a testimoniare l'uso
scritto di un volgare che ormai col latino aveva poche similitudini; la formula venne poi riportata in altre sentenze emesse per casi simili, dette tutte insieme placiti cassinensi (perché tutte attinenti al monastero di Montecassino).
Dell'XI sec. è poi l'iscrizione di S. Clemente, ritrovata nella basilica di S. Clemente a Roma che fa da "didascalia" a un affresco che raffigura la passione del santo: ai
personaggi laici (Sisinnio, i servi) sono attribuite frasi in volgare, mentre il martire parla in latino e ciò sottolinea la distanza tra le due lingue, poiché il vogare era sentito proprio di
uomini rozzi e incolti. L'iscrizione non è un vero e proprio testo letterario, ma è presente un intento artistico che era invece assente nei "placiti" destinati a un uso giuridico e
pratico.
La poesia epica in lingua d'oïl
La morte di Orlando (ms. XV
sec.)
Intorno all'XI-XII sec. il volgare inizia ad essere usato in testi con caratteristiche propriamente letterarie e i primi esempi di opere poetiche sono le
chansons de geste, ovvero i poemetti epici in lingua d'oïl prodotti in Francia del Nord: la letteratura antico-francese fu tra le più antiche
dell'Europa romanza ed era favorita dalla presenza della monarchia capetingia che fungeva da fattore unificante, il che spiega anche il forte ritardo della letteratura volgare in Italia (dove era
presente una frammentazione politica e linguistica). La poesia epica in lingua alto-francese nasceva nell'ambiente dell'aristocrazia militare post-carolingia, i cui membri non erano più
illetterati come in precedenza (Carlo Magno aveva cercato di favorire in tutti i modi la formazione di una classe dirigente "laica", per sottrarre alla Chiesa il monopolio della cultura) e
nutrivano interesse per una letteratura che celebrasse i propri valori, ovvero la prodezza in battaglia, il coraggio, il valore e la devozione religiosa. Tale sistema di valori,
detto
cavalleria in quanto proprio dei cavalieri, veniva espresso in poemetti di argomento epico che raccontavano le imprese leggendarie dei paladini di Carlo Magno in
Spagna, nella guerra contro i Mori della fine dell'VIII sec.: scritte in versi raggruppati in strofe di diversa lunghezza (le lasse), le
chansons de
geste avevano come protagonisti i personaggi del cosiddetto
ciclo carolingio (il conte Roland, italianizzato in Orlando, Gano di Maganza, Rinaldo...) e si
ispiravano alla tradizione epica della letteratura classica, soprattutto all'
Eneide e, in parte, ai poemi omerici il cui testo era noto indirettamente
(il greco non era conosciuto in Europa nell'Alto Medioevo). I testi delle
chansons ci sono giunti anonimi e risalgono all'XI-XII sec., ovvero il
periodo di massima espansione della società feudale che questi poemi intendono celebrare, mentre è forte l'elemento religioso rappresentato dalla lotta dei guerrieri cristiani contro gli
"infedeli" musulmani, in un contesto storico che vedeva le prime Crociate verso la Terrasanta. L'opera più celebre è la
Chanson de
Roland, in cui il protagonista Orlando - descritto come perfetto guerriero e uomo di fede - cade in un'imboscata sui Pirenei, a Roncisvalle, tesagli dai Mori a causa del tradimento
di Gano: il testo risale al XII sec. e distorce in parte un fatto storico, poiché il conte Roland morì in effetti in quella località nel 778, ma durante uno scontro con i Baschi e non con gli
Arabi. Nel poemetto Orlando combatte strenuamente alla testa della retroguardia dei Franchi e suona il corno (olifante) per chiamare rinforzi, che però giungono troppo tardi (
► TESTO: La morte di Orlando). L'influenza di questo episodio e,
in generale, della tradizione del ciclo carolingio sarà grande anche in Italia, dove già nel Trecento nascerà il filone dei "cantari" in ottave e nel XV-XVI sec. inizierà la stesura dei primi
poemi
epico-cavallereschi, come il
Morgante di Pulci, l'
Orlando innamorato di
Boiardo e l'
Orlando furioso di Ariosto (protagonista di tutti e tre sarà proprio Orlando).
I romanzi cortesi in lingua d'oïl
Lancillotto e Ginevra (ms. XIV
sec.)
Tra XII e XIII sec. la società feudale francese diventa più raffinata ed elabora un nuovo sistema di valori detto
cortesia, in parte diverso da quello dell'epoca precedente
poiché il cavaliere non dev'essere solo un prode guerriero, ma anche un perfetto uomo di corte in grado di scrivere versi e ben figurare alla presenza delle nobili dame, per cui l'amore diviene
un valore tanto importante quanto la guerra. Tale evoluzione storica si riflette nella letteratura e nascono, sempre in Francia del Nord, dei nuovi poemetti in lingua d'oïl
chiamati
romanzi cortesi (non perché scritti in prosa ma in quanto stesi in lingua volgare romanza), i cui protagonisti non sono più i paladini di Carlo Magno ma i
personaggi del cosiddetto
ciclo bretone, ovvero re Artù e i cavalieri della tavola rotonda. Rispetto alle
chansons de geste, i
guerrieri bretoni oltre a dare prova di valore militare sono anche impegnati in una
quête, la ricerca di un oggetto simbolico (spesso il sacro Graal, la
coppa dove venne raccolto il sangue di Cristo) che diventa percorso di perfezionamento morale, ma sono anche protagonisti di vicende amorose in cui fanno la loro comparsa figure femminili, prima
escluse dalla tradizione epica francese. Il cavaliere intraprende la
quête per dare prova di coraggio alla dama e ottenerne così l'amore,
nell'ambito di una relazione quasi sempre adultera e secondo i dettami del cosiddetto
amor cortese: tra il cavaliere e la dama si crea una sorta di "vassallaggio amoroso",
un rapporto di sottomissione dell'uomo alla donna che di solito è socialmente superiore e sposata, la quale può concedersi o meno al suo amante alla fine del suo percorso; sono inoltre presenti
elementi magici e favolosi, come ad esempio la lotta dell'eroe contro mostri e creature mitologiche (draghi e simili) per dimostrare il proprio valore (
► SCHEDA: La concezione dell'amor cortese). Tra gli autori principali
di romanzi cortesi ricordiamo
Chrétien de Troyes (XII sec.), che ha dedicato le sue opere soprattutto a Lancillotto (amante della regina Ginevra, moglie di re
Artù;
► TESTO: Lancillotto e Ginevra) e
a Perceval (il
Parsifal della tradizione alto-tedesca). Collegata al romanzo cortese ma indipendente dai personaggi del ciclo arturiano è la
leggenda di
Tristano e Isotta, oggetto della trattazione di numerosi scrittori. L'argomento di questi poemi ha conosciuto una vasta diffusione anche in Italia del Nord e
molti vennero trascritti in opere in prosa e volgarizzati (Dante ne parla nel
De vulgari eloquentia), finendo per influenzare anche i poemi del ciclo
carolingio con l'inclusione dell'elemento amoroso, della
quête e degli incantesimi.
La lirica provenzale in lingua d'oc
L'omaggio del cavaliere alla
dama (ms. XIV sec.)
La stessa idealizzazione della nobiltà e dell'amor cortese sono anche al centro della produzione poetica in
lingua d'oc in Francia del Sud, dove tra XII e XIII sec.
fiorisce un ricco filone di poesia lirica di argomento amoroso che esprime i valori della società aristocratica delle corti dei grandi feudatari (specie in Provenza, per cui questa poesia viene
anche impropriamente definita "provenzale"). Gli autori, signori feudali essi stessi o cavalieri-poeti che vivevano nell'ambiente di corte, erano
detti
trovatori (dall'occitanico
trobar, "poetare") e al centro delle loro liriche vi era la celebrazione del vassallaggio
amoroso verso una dama di maggior grado sociale - non di rado la moglie del proprio signore - verso la quale la produzione dei versi rappresentava il "servizio", cui poteva corrispondere un
"beneficio" talvolta coincidente con l'amore fisico (erano i gradi della
fin'amor, le "tappe" del servizio amoroso). La poesia trobadorica era destinata
al canto e aveva un accompagnamento musicale, venendo spesso eseguita dai
menestrelli o giullari nelle corti, a differenza della poesia italiana che invece solo
occasionalmente verrà musicata. Nei testi il cavaliere-poeta non si rivolgeva mai all'amata chiamandola col suo vero nome, ma usava un nome fittizio (
senhal) per proteggerla dalle maldicenze del pubblico essendo lei sposata con un altro (
► SCHEDA: La concezione dell'amor cortese).
La lirica in lingua d'oc, pur essendo di tema prevalentemente amoroso, poteva toccare anche altri argomenti (la politica, la guerra...) e lo stile, solitamente elevato e "tragico", talvolta
diventava basso e "comico", specie quando trattava di amore tra persone di basso livello sociale. Molti i generi poetici elaborati dai trovatori, tra cui spicca
la
canzone (
canso), il componimento per eccellenza destinato a celebrare l'amor cortese, mentre di stile meno elevato erano
la
ballata e il
sirventese (quest'ultimo di argomento per lo più politico). Altri generi interessanti erano
la
tenzone (scambio di componimenti tra poeti che discutevano di questioni amorose, talvolta polemicamente;
► SCHEDA: La "tenzone" come genere poetico), il
planh (il compianto funebre per le virtù di un signore feudale appena morto, del cui cuore talvolta i lettori erano invitati a cibarsi per
acquisirne il valore), la
pastorella (sorta di dialogo tra un nobile cavaliere e una timida pastorella che alla fine gli si concedeva), l'
alba (il
commiato degli amanti al termine della notte), il
plazer e l'
enueg (rispettivamente l'elenco di cose e situazioni piacevoli e sgradevoli legate al mondo della corte, di stile comico). La poesia provenzale
distingueva poi uno stile facile e cantabile, detto
trobar leu, e uno difficile e oscuro, con rime rare e lessico ricercato, detto
trobar
clus (entrambi influenzeranno molto la lirica amorosa italiana).
Fra i trovatori in lingua d'oc più importanti si possono ricordare
Guglielmo IX d'Aquitania (XI-XII sec.), considerato il fondatore della scuola;
Bernart
de Ventadorn,
Bertran de Born,
Jaufré Rudel, maestro del
trobar leu (
► TESTO: Amore di terra lontana), nobili e vissuti nella
prima metà del XII sec.;
Folchetto di Marsiglia e
Peire Vidal, di origine borghese e vissuti tra XII e XIII sec.;
Arnaut Daniel,
maestro del
trobar clus e che influenzerà molto Dante, vissuto anche lui nel XII-XIII sec. (
► TESTO: Su quest'arietta leggiadra). La poesia
trobadorica fiorisce sino agli inizi del XIII sec., quando viene bandita la
crociata albigese contro i catari della Provenza che porterà alla sottomissione della
Francia del Sud da parte della monarchia capetingia, con il declino della civiltà feudale che della poesia occitanica era stata il centro. I testi dei trovatori ebbero una notevole diffusione
anche in Italia, dove il metro e i temi delle loro poesie vennero presi a modello da parte delle principali scuole liriche del Duecento (ciò avvenne soprattutto in Sicilia e in Toscana), mentre
agli inizi del XIII sec. vi furono alcuni poeti dell'area settentrionale che scrissero liriche in lingua d'oc e secondo i moduli della poesia provenzale, che furono detti "trovatori italiani"
(tra essi spicca la figura di Sordello da Goito:
► PERCORSO: La lirica amorosa).
La letteratura volgare in Italia. Il mondo comunale
Riunione di mercanti, ms. XIV
sec.
In Italia la letteratura volgare nasce nel XIII sec. e dunque con notevole ritardo rispetto a quella franco-provenzale, da cui subisce tra l'altro una forte influenza: la situazione italiana era
molto frammentata politicamente, specie al Nord dove nel XII-XIII sec. si sviluppa la
civiltà comunale, e anche culturalmente, non essendovi una lingua di "corte" che potesse
unificare gli scrittori della penisola (a differenza delle lingue d'oïl e d'oc, largamente diffuse in Francia e in Provenza). In Italia mancava anche una vera corte simile a quella francese o a
quelle dei signori feudali di Provenza, se si eccettua il caso di
Federico II in Sicilia, per cui l'emergere di una letteratura volgare che si rivolgesse a un pubblico di laici
fu parallelo allo sviluppo della società comunale e dei suoi valori mercantili e borghesi, dunque in un ambiente "cittadino" profondamente diverso da quello dell'epica francese o della lirica
trobadorica. Diversa fu anche l'estrazione sociale dei primi scrittori in lingua volgare, i quali furono spesso uomini politici impegnati a vario titolo nelle istituzioni comunali (talvolta notai o
uomini di legge, come
Guido Guinizelli) oppure al servizio di un sovrano e operanti in una corte, come i poeti siciliani della scuola di Federico II che erano tuttavia di
origine borghese e molto diversi dai cavalieri-poeti della poesia provenzale. Nonostante il suo carattere comunale, in ogni caso, la letteratura volgare delle Origini subì un forte influsso dei
modelli francesi e provenzali e se anche si rivolgeva in prevalenza a un pubblico alto-borghese di mercanti, espresse anche valori e ideali propri della società feudale più antica, specie nella
lirica amorosa che si rifece strettamente alla concezione dell'amor cortese e al vassallaggio amoroso (sia pure in un ambiente cittadino e non di corte, come lo
Stilnovo a
Firenze). In alcuni scrittori il sistema di valori del mondo mercantile veniva condannato e paragonato polemicamente a quello più elevato dell'aristocrazia, come nel caso
di
Dante, in altri era celebrato come innovatore e portatore di ricchezza e sviluppo, come più tardi nella novellistica di
Boccaccio (in cui il
mercante veniva esaltato per le sue virtù, tra cui l'
industria e l'astuzia). Benché si rivolgesse a un pubblico di laici, la letteratura italiana delle
Origini fu sempre ispirata a elementi di profonda religiosità, dando vita a un filone di poesia religiosa (
S. Francesco,
Jacopone da Todi...) che si diffuse in
parallelo con il movimento di rinnovamento spirituale della Chiesa e la lotta alle eresie del primo XIII sec., lo stesso clima in cui nacque il capolavoro della poesia volgare del XIV sec.,
la
Commedia di Dante Alighieri (
► PERCORSO: La poesia religiosa). Notevole, infine, la varietà linguistica, poiché i primi testi letterari si espressero
in volgare
umbro (specie la poesia religiosa), in
siciliano (i poeti alla corte di Federico II), in
toscano (la lirica
amorosa e la poesia comica), senza contare il
veneziano del
Milione di Marco Polo e
il
lombardo della poesia "didattica" di Bonvesin da la Riva. Il volgare toscano sarebbe poi diventato la lingua letteraria per eccellenza della nostra tradizione,
attraverso il modello illustre dei principali scrittori del Trecento (Dante, Petrarca, Boccaccio) e dell'Umanesimo, sino alle discussioni in campo linguistico del Rinascimento.