Con il termine poteri universalisi definiscono il papatoed il Sacro Romano Imperobasso medievali, le due massime autorità politiche e spirituali dell'epoca. Si definivano universalipoiché volevano essere le guide politiche, morali e spirituali dell'intera Cristianitàmedievale e ritenevano ogni altro potere subordinato al proprio. Questi due poteri, a partire dal Dictatus Papaedi papa Gregorio VII(1075), furono sempre in aperto conflitto per ottenere il primato assoluto ed il teatro dello scontro fu quasi sempre la penisola italiana. La lotta si protrasse per circa duecento anni, ma, alla fine, la costituzione delle forti monarchie nazionalie la crisi del Sacro Romano Impero portarono ad un drastico indebolimento di entrambe le parti. L'ultimo sogno universalistico, coltivato da Carlo V d'Asburgo, si infranse davanti alla divisione dell'impero ed all'accanita opposizione del più potente dei nuovi stati nazionali, il Regno di Francia. Contemporaneamente, la supremazia del papato fu messa in discussione dalla Riforma Protestante.
Il termine Sacro Romano Imperofu coniato all'epoca di Federico Barbarossae si riferisce a quell'organismo politico nato idealmente all'epoca di Carlo Magno e risorto, dopo la propria dissoluzione nel corso dei secoli IX e X, ad opera di Ottone I(962). Il nuovo impero risultava ridimensionato rispetto a quello carolingio, poiché aveva perso la maggior parte della Francia e la propria influenza in Spagna, nell'Italia meridionalee nell'Est. La sua struttura organizzativa, inoltre, era molto variata dall'VII secolo: il potere centrale era venuto meno, i vassalli, in seguito al capitolare di Quierzyed alla constitutio de feudis, trasmettevano i propri poteri in linea ereditaria e non venivano più scelti personalmente dall'Imperatore.
L'Impero, dunque, aveva un carattere tutt'altro che unitario ed il potere dell'Imperatore si basava molto sul suo carisma e sui suoi possedimenti personali. Sebbene la carica imperiale fosse elettiva, poiché i monarchi erano eletti dalla dietadi tutti i feudatari, alcune famiglie, come gli Hohenstaufen, riuscirono garantirsi la trasmissione ereditaria del titolo. Succedeva altre volte, invece, che scoppiassero addirittura guerre per l'ottenimento del titolo, come quella tra Guelfi e Ghibellini, scoppiata alla fine del XII secolo ed estesasi anche a Franciae Inghilterra.
I territori papali, nel Medioevo, non costituivano il centro delle attenzioni del papa. Come guida della Cristianità, infatti, egli cercava di ottenere il controllo su tutte le decisioni della politica europea (alcuni esempi sono le crociateed il fenomeno della pace di Dio) e, per far ciò, doveva necessariamente essere riconosciuto come autorità suprema nel continente. Il soglio di Pietro, in questo periodo, venne occupato da personalità come papa Gregorio VII, autore del Dictatus Papae, documento che riconosceva al pontefice l'autorità suprema su tutti i Cristiani, le prerogative di incoronare e deporre imperatori e monarchi ed il controllo assoluto sulla Chiesa, Innocenzo III, pontefice teocraticoper antonomasia, e Bonifacio VIII, l'ultimo energico assertore della supremazia temporaledel pontefice.
L'autorità papale poggiava prima di tutto sul prestigio spirituale, poi sul potere di scomunicae di interdetto(strumenti efficacissimi all'epoca) ed in ultimo luogo sulla debolezza dell'autorità imperiale, l'unica che, per prestigio e per forza reale, potesse competere con quella papale. I papi, inoltre, poterono sempre contare sulla frammentazione dei territori del Nord Italia (che, come tutti quelli imperiali, erano divisi in una miriade di feudi e di comuni) e sulle lotte di potere interne all'Impero.
Gregorio VII, Enrico IV e Matilde di Canossa
Il primo motivo di scontro tra papato e impero fu la questione dei vescovi-contiimperiali. Da sempre nell'Impero i vescoviavevano ricevuto in beneficioterre e le proprietà della Chiesa erano state ingenti. Gli Ottonidecisero di sfruttare questi ecclesiastici per recuperare ciò che era sembrato perso per sempre con la costitutio de feudis,cioè la possibilità per il sovrano di riottenere il pieno controllo del feudo alla morte del feudatario. I vescovi, infatti, secondo i nuovi rigidi dettami della riforma gregoriana, non avrebbero potuto mettere al mondo eredi (veniva quindi imposto definitivamente il celibato ecclesiastico) e, di conseguenza, avrebbero garantito che il feudo, alla morte del beneficiario, tornasse all'imperatore.
I sovrani, tuttavia, non si volevano limitare all'investitura feudale dei prelati, ma si arrogavano anche il diritto di concedere i titoli ecclesiastici, incarico che, secondo i dettami della Chiesa riformata, sarebbe dovuto spettare solo al Papa. I due poteri, quindi, si scontrarono violentemente sulla questione. Il principale protagonista dello scontro fu l'imperatore Enrico IVche, per via dell'aperto conflitto col pontefice, fu addirittura scomunicatoe costretto ad umiliarsi davanti al Papa presso il castello di Canossapur di vedersi rimettere l'anatema. Si raggiunse un compromesso solo nel 1122, col Concordato di Worms, accordo secondo il quale l'imperatore avrebbe avuto il compito esclusivo di concedere il beneficio, mentre il Papa avrebbe avuto la prerogativa esclusiva di assegnare il titolo vescovile.
L'imperatore Costantino I
L'altra principale causa del perenne conflitto tra i due poteri universali fu la donazione di Costantino, un presunto atto dell'imperatore Costantino Iin cui era scritto che l'imperatore romano, trasferendo la propria corte da Romaa Costantinopoli, avrebbe fatto dono al papato di tutte le terre occidentali dell'Impero Romano.
L'atto, un falso smascherato solo nel Rinascimentodall'umanista Lorenzo Valla, consegnava di fatto la sovranità legittima sull'Europa occidentale dall'imperatore al papa e, di conseguenza, offriva al pontefice l'occasione di dichiararsi superiore all'autorità imperiale in quanto concessore di un beneficio. Il Sacro Romano Impero, secondo quest'ottica, sarebbe stato da considerarsi vassallo della Chiesa, visione, naturalmente, rigettata in pieno dalla cancelleria imperiale.
Il principale terreno di scontro ideologico tra papato e impero furono le due diverse concezioni del potere delle due autorità. Se gli imperatori si professarono sempre i legittimi eredi del potere di Roma e quindi legittimati a governare l'intera Cristianità, i papi risposero sostenendo di essere superiori a ogni potere laico in quanto vicari del Cielo sulla Terra e depositari della luce di Dio. La formula coniata per rappresentare questa situazione fu la teoria del Sole e della Luna: come nel cielo il Solebrilla di luce propria e la Lunadi luce riflessa, così anche il papa, brillando della luce di Dio, l'unica originale, concederebbe all'imperatore, sovrano terreno, parte del lume divino facendolo brillare di luce riflessa.
Gli imperatori, ovviamente respinsero questa pretesa ed elaborarono un'altra concezione, la cosiddetta teoria dei due Soli, secondo la quale papato e impero avrebbero avuto pari dignità, ma in ambiti diversi: la Chiesa avrebbe avuto il primato spirituale, mentre l'Impero quello temporale. Fu la prima teorizzazione della separazione tra Statoe Chiesae fu enunciata anche da Dantenel De Monarchiae nella Divina Commedia(Purgatorio, canto XVI)
Il Dictatus Papae("Affermazioni di principio del Papa") è una raccolta di ventisette proposizioni, ciascuna delle quali enuncia uno specifico potere del pontefice romano. Vi sono elencati i principii della Riforma gregorianaavviata alla metà dell'XI secolo. Redatto al tempo di Gregorio VIIo poco dopo, il documento è inserito fra due lettere datate marzo 1075.
Gli assiomi del Dictatusfissano i
fondamenti del primato
papale. L'assioma "Al Papa è permesso deporre gli imperatori" fa cadere la nozione alto-medievale di bilanciamento fra potere
religioso e potere civile, espressa dal simbolo delle "due spade", quella spirituale e quella temporale. L'equilibrio fra potestas(o imperium, l'Impero) e auctoritas(la Chiesa) aveva retto l'Occidente sin dai tempi dei Merovingi[1].
Il titolo Dictatus Papaeè l'intestazione della raccolta di lettere personali della
sezione che contiene il documento. L'inserzione degli assiomi sotto questa intestazione vuol dunque dire che il Papa compose il testo personalmente, se si accetta l'autenticità della
datazione.
Numero |
Originale latino |
Italiano |
I |
«Quod Romana ecclesia a solo Domino sit fundata.» |
Che la Chiesa Romana è stata fondata unicamente da Dio. |
II |
«Quod solus Romanus pontifex iure dicatur universalis.» |
Che il Pontefice Romano è l'unico che può essere di diritto chiamato universale. |
III |
«Quod ille solus possit deponere espiscopus vel reconciliare.» |
Che Egli solo può deporre o reinsediare i vescovi. |
IV |
«Quod legatus eius omnibus episcopis presit in concilio etiam inferioris gradus et adversus eos sententiam depositionis possit dare.» |
Che in qualunque concilio il suo legato, anche se minore in grado, ha autorità superiore a quella dei vescovi, e può emanare sentenza di deposizione contro di loro. |
V |
«Quod absentes papa possit deponere.» |
Che il Papa può deporre gli assenti. |
VI |
«Quod cum excommunicatis ab illo inter cetera nec in eadem domo debemus manere.» |
Che, fra le altre cose, non si possa abitare sotto lo stesso tetto con coloro che egli ha scomunicato. |
VII |
«Quod illi soli licet pro temporis necessitate novas leges condere, novas plebes congregare, de canonica abatiam facere et e contra, divitem episcopatum dividere et inopes unire.» |
Che ad Egli solo è legittimo, secondo i bisogni del momento, fare nuove leggi, riunire nuove congregazioni, fondare abbazie o canoniche; e, dall'altra parte, dividere le diocesi ricche e unire quelle povere. |
VIII |
«Quod solus possit uti imperialibus insigniis.» |
Che Egli solo può usare le insegne imperiali. |
IX |
«Quod solius pape pedes omnes principes deosculentur.» |
Che solo al Papa tutti i principi debbano baciare i piedi. |
X |
«Quod illius solius nomen in ecclesiis recitetur.» |
Che solo il Suo nome sia pronunciato nelle chiese. |
XI |
«Quod hoc unicum est nomen in mundo.» |
Che il Suo nome sia il solo in tutto il mondo. |
XII |
«Quod illi liceat imperatores deponere.» |
Che ad Egli è permesso di deporre gli imperatori. |
XIII |
«Quod illi liceat de sede ad sedem necessitate cogente episcopos transmutare.» |
Che ad Egli è permesso di trasferire i vescovi secondo necessità. |
XIV |
«Quod de omni ecclesia quocunque voluerit clericum valeat ordinare.» |
Che Egli ha il potere di ordinare un sacerdote di qualsiasi chiesa, in qualsiasi territorio. |
XV |
«Quod ab illo ordinatus alii eclesie preesse potest, sed non militare; et quod ab aliquo episcopo non debet superiorem gradum accipere.» |
Che colui che Egli ha ordinato può dirigere un'altra chiesa, ma non può muovergli guerra; inoltre non può ricevere un grado superiore da alcun altro vescovo. |
XVI |
«Quod nulla synodus absque precepto eius debet generalis vocari.» |
Che nessun sinodo sia definito "generale" senza il Suo ordine. |
XVII |
«Quod nullum capitulum nullusque liber canonicus habeatur absque illius auctoritate.» |
Che un testo possa essere dichiarato canonico solamente sotto la Sua autorità. |
XVIII |
«Quod sententia illius a ullo debeat retractari et ipse omnium solus retractare possit.» |
Che una Sua sentenza non possa essere riformata da alcuno; al contrario, Egli può riformare qualsiasi sentenza emanata da altri. |
XIX |
«Quod a nemine ipse iudicare debeat.» |
Che Egli non possa essere giudicato da alcuno. |
XX |
«Quo nullus audeat condemnare apostolicam sedem apellantem.» |
Che nessuno possa condannare chi si è appellato alla Santa Sede. |
XXI |
«Quod maiores cause cuiscunque ecclesie ad eam referri debeant.» |
Che tutte le maiores cause, di qualsiasi chiesa, debbano essere portate davanti a Lui. |
XXII |
«Quod Romana ecclesia nunquam erravit nec imperpetuum scriptura testante errabit.» |
Che la Chiesa Romana non ha mai errato; né, secondo la testimonianza delle Scritture, mai errerà per l'eternità. |
XXIII |
«Quod Romanus pontifex, si canonice fuerit ordinatus, meritis beati Petri indubitanter efficitur sanctus testante sancto Ennodio Papiensi episcopo ei multis sanctis patribus faventibus, sicut in decretis beati Symachi pape continetur.» |
Che il Pontefice Romano eletto canonicamente, è senza dubbio, per i meriti di San Pietro, santificato [2], secondo quanto detto da sant'Ennodio, vescovo di Pavia, e confermato da molti santi padri a lui favorevoli, come si legge nei decreti di San Simmaco papa. |
XXIV |
«Quod illius precepto et licentia subiectis liceat accusare.» |
Che, dietro Suo comando e col suo consenso, i vassalli abbiano titolo per presentare accuse. |
XXV |
«Quod absque synodali conventu possit episcopus deponere et reconciliare.» |
Che Egli possa deporre o reinsediare vescovi senza convocare un sinodo. |
XXVI |
«Quod catholicus non habeatur, qui non concordat Romane ecclesie.» |
Che colui il quale non è in comunione con la Chiesa Romana non sia da considerare cattolico. |
XXVII |
«Quod a fidelitate iniquorum subiectos potest absolvere.» |
Che Egli possa liberare i sudditi dall'obbligo di obbedienza ai principi che hanno imposto il loro potere con la forza. |
Alcuni storici ritengono che il documento sia stato scritto da Gregorio VII stesso, mentre altri ritengono che esso sia stato scritto da altri, e inserito nel registro (falsificandolo) a posteriori. Il Dictatus Papae non fu formalmente pubblicato, e non circolò al di fuori della Curia romana.
Il termine viene utilizzato più in generale per indicare l'acquisizione di beni spirituali in cambio di denaro e deriva dal nome di Simon Mago, taumaturgo samaritano convertito al cristianesimo, il quale, volendo aumentare i suoi poteri, offrì a san Pietro apostolodel denaro, chiedendo di ricevere in cambio le facoltà taumaturgicheconcesse dallo Spirito Santo(si vedano gli Atti degli apostoli, 8, 18-24). Il rimprovero che Pietro mosse a Simone è un monito per i cristiani odierni. La storia della cristianità abbonda di casi di simonia.
Dopo l'editto di Costantinodel 313d. C. la Chiesa cristiana poté disporre di beni terreni in sempre maggior misura, per cui si registrarono casi di ecclesiastici che si adoperarono per ottenere cariche e potere mediante denaro. La simonia, quindi, fu condannata già col secondo canone della quinta sessione del concilio di Calcedonianel 451.
Dopo la concessione dell'ereditarietà dei feudi (Capitolare di Quierzy, 877), re e imperatori trovarono comodo assegnare grandi poteri temporali ai vescovi (che non potevano avere prole legittima) e per contro si riservarono il potere di nomina, spesso sulla base di criteri strettamente mondani, ignorando completamente le attitudini morali e religiose del loro prescelto. Ciò facilitò la diffusione della simonia: veniva eletto il cortigiano capace di ricompensare maggiormente il sovrano, rifacendosi in seguito tramite i benefici associati all'esercizio della carica ecclesiastica. La nomina di ecclesiastici da parte di laici entrò nella prassi degli imperatori tedeschi con la politica ecclesiastica di Ottone il grande di Sassoniaed è alla base della lotta per le investiture.
Il conflitto raggiunse il suo apice nello scontro tra Enrico IVe Papa Gregorio VII, conflitto che è passato alla storia come lotta per le investiture. Il 22 febbraio 1076il Papa scomunicòEnrico, dichiarandolo decaduto. Precedentemente era stato Enrico a dichiarare decaduto il papa, perché la sua nomina sarebbe stata irregolare, avendo il Re dei Romaniil diritto di intervenire nell'elezione del papa. Per giungere alla revoca della scomunica, Enrico si recò in penitenza a Canossa, per incontrare Gregorio VII. Per tre giorni, dal 25 al 27 gennaio 1077, rimase in attesa di fronte all'ingresso del castello, e il 28 gennaio il papa decise di revocare la scomunica, soprattutto grazie alla mediazione di due donne: Matilde di Canossa, Marchesa di Toscana e signora del castello, e Adelaide di Torino, cugina della stessa Matilde e madre della moglie di Enrico IV.
L'opposizione della Chiesa alla simonia prese grande vigore con i papi riformatori del secolo XI e in particolare con papa Gregorio VII. La posizione riformatrice portò al Concordato di Wormse al Concilio Lateranense I, che formalizzarono l'autonomia ecclesiastica dalle interferenze dei sovrani.
La pratica della simonia non scomparve mai e accompagnò tutti i momenti di decadenza del papato. Ad esempio il papa Bonifacio VIIIvenne accusato di essere simoniaco, come riporta Dantenella Divina Commedia. Presso i Templarila simonia era causa dell’espulsione definitiva dall’Ordine, insieme alla violazione della segretezza dei Capitoli, all’uccisione di un cristiano o di una cristiana, alla sodomia, all’ammutinamento, alla viltà riconosciuta, all’eresia, al tradimento (il Templare che fosse passato ai saraceni) e all’appropriazione illecita. Persino la riforma protestantefu causata anche dalla simonia, che fu fortemente criticata da Martin Luteronelle sue 95 tesiaffisse nel 1517sulla porta principale della chiesa di Wittenberg.
Nella Divina Commedia, Dantepone i simoniacifra i dannati nella terza bolgia dell'ottavo cerchio dell'Inferno. Sono condannati a restare capovolti all'interno di fori nella roccia, con una fiamma rossastra che brucia sui loro piedi. Quando sopraggiunge un nuovo dannato, prende posto facendo sprofondare in basso gli altri. Tale pena segue questo contrappasso: come in vita, vendendo i posti ecclesiastici, "calpestarono" lo spirito santo, ora esso (sotto forma di fiamma) brucia loro i piedi
« O Simon mago, o miseri seguaci
che le cose di Dio, che di bontate |
(Dante, INFERNO, Canto XIX) |
Bisogna fare attenzione a non confondere le offerte date al sacerdote per la celebrazione di una S. Messa (spesso in suffragio di uno o più defunti) con il peccato di simonia. La tradizione di dare un'offerta, monetaria o meno, per la celebrazione di una S. Messa è antichissima e vuole esprimere da parte dei fedeli offerenti il desiderio di privarsi di qualcosa per donarlo al Signore. Dato che offerta gradita al Signore è la Celebrazione Eucaristica, si dona un'offerta monetaria (perché è il modo moderno di intendere il senso dell'offerta) a un sacerdote che celebri per le intenzioni dell'offerente.
Il sacerdote che riceve l'offerta la utilizza secondo i fini della Chiesa, ossia per il sostentamento personale, per la manutenzione delle strutture e per la carità verso i poveri. Proprio per questo una parte di ogni offerta viene per legge devoluta alla cassa della diocesi per favorire i progetti di carità e beneficenza di ogni luogo. La simonia è un caso completamente diverso. Si tratta, infatti, della volontà di acquistare con il denaro ciò che invece è un dono gratuito e immateriale di Dio: lo Spirito Santo. Per di più Simon Magoaveva anche confuso lo Spirito Santo con i poteri che Esso conferiva a chi ne era pieno. Ecco perché si tratta di un peccato: si vuole acquistare Dio stesso con il denaro per diventare come Dio o - ancor di più - Dio stesso.
Enrico IV di Franconiainnanzi Gregorio VIIa Canossa
La lotta delle investiture, che contrappose il Papatoe l'Imperonei secoli XIe XII, ebbe per oggetto la concessione dell'investitura imperiale delle regalie (i diritti pertinenti al regno o pubblici) agli ecclesiastici. Tale "lotta" consisteva nella disputa tra Papato e Impero riguardo a chi dovesse dare il titolo di vescovoad un membro della società ecclesiastica, la cosiddetta "investitura episcopale".
Già alla fine del IV secoloArcadioe Onorio, figli dell'imperatore Teodosio, avevano riconosciuto alla sentenza emanata dalla episcopalis audientiapari dignità rispetto a quella pronunziata dal tribunale pubblico. Attorno al vescovo cominciarono a gravitare i fedeli bisognosi di aiuto di natura materiale, oltre che spirituale.
Subito dopo la guerra gotico-bizantina(535-553), l'imperatore Giustiniano, incapace di ricostruire le strutture di controllo statale, promulgò nel 554la Prammatica Sanzione, che contiene anche direttive che dettero ai vescovi prerogative proprie di altri funzionari imperiali. Da quel momento in poi le disposizioni dei vescovi ebbero forza di leggecon valore vincolante per tutta la popolazione, anche se in contrasto con le decisioni prese da altri funzionari imperiali romani come i prefetti, anche se appoggiati da tribunali laici.
Indipendentemente dal loro status, i vescovi erano funzionari dipendenti da Bisanziocosì come lo era la diocesiromana. Teodorico il Grande, che governò l'Italia come funzionario dell'impero romano e come re, fu forse l'ultimo funzionario imperiale a contenere il potere dei vescovi.
Con Gregorio Magno la situazione si evolse notevolmente: il Praefectus urbissi era trasformato in funzionario pontificio e prendeva ordini direttamente dal Laterano, mentre il magister militumera un ufficiale dell'esercito pontificio; tutti i dipendenti civili furono sostituiti con altri di provenienza ecclesiastica, compresi i diaconiadibiti alla riscossione delle imposte.
Il re longobardo Liutprando, in cerca di un accordo che rafforzasse il suo stato, dopo aver conquistato il castello di Sutri nel 728, a causa delle proteste papali, anziché restituirlo a Bisanzio, che in quel periodo controllava alcune zone del Lazio, lo riconsegnò a Papa Gregorio II. Con questa donazione e il falso documento riguardante la cosiddetta donazione di Costantino, i Papi cominciarono a rivendicare il controllo spirituale e temporale delle terre dell'Italia centrale e dell'Europa ad ovest della Grecia.
Durante l'impero di Carlo Magno il potere civile era forte e i vescovi tornarono ad essere considerati dei semplici funzionari, sulla cui nomina i sovrani potevano interferire pesantemente. L'impero carolingio, però, fu diviso in tre territori (Italia, Germania e Francia); il potere statale perse autorità ed efficacia, soprattutto in Italiae Germania. Il fatto più grave, però, fu il riconoscimento dell'ereditarietà dei feudi (Capitolare di Quierzy, 877), che privava l'imperatore di gran parte dei suoi poteri. Nel caos post-carolingio crebbe anche l'autonomia di molte città, guidate inizialmente dal loro vescovo ma in seguito destinate a trasformarsi in liberi comuni.
Nel X secolo, il potere imperiale passò ai re di Germania, della casa di Sassonia. Il primo di loro, Ottone I, non volendo ricadere negli stessi errori dei carolingi, basò sistematicamente il proprio potere politico sull'assegnazione di importanti poteri civili a vescovi, che egli stesso aveva nominato. I vescovi, infatti, non potevano avere prole legittima a cui trasmettere i beneficiricevuti. Inizialmente Ottone assegnò loro i poteri di districtus, ossia di comando, polizia ed esazione sulla città e sul territorio circostante. In seguito i poteri furono estesi ad interi comitati, a spese del conte laico e creando dei veri e propri vescovi-conti.
In pratica la funzione vescovile ne fu snaturata, perché l'assegnazione della carica non era più basata sulle doti morali o sulla cultura religiosa del candidato ma esclusivamente sulla sua personale fedeltà all'imperatore. La pratica, inoltre, degradò rapidamente nella simonia, cioè nell'assegnazione del titolo vescovile a quei laici che erano in grado di versare cospicue somme di denaro all'imperatore, certi di recuperarle in seguito tramite i benefici feudali che ormai accompagnavano il titolo vescovile.
Ma il personaggio più importante è forse papa Gregorio VIIche, nell'ambito di un'azione più ampia che va sotto il nome di Riforma gregoriana, emise nel 1075il famoso Dictatus Papae. Con questo documento si dichiarava che il pontefice era la massima autorità spirituale e in quanto tale poteva deporre la massima autorità temporale (l'imperatore), mediante la scomunica;[2]veniva così espressa una vera e propria teocrazia. La lotta divenne aspra tra il Papa e l'imperatore di Germania Enrico IV, che radunò 24 vescovi tedeschi e 2 vescovi italiani a lui fedeli i quali deposero il pontefice, che a sua volta scomunicò l'imperatore.[2]
A causa della ribellione dei grandi feudatari tedeschi, Enrico IV si recò nel 1077, in gennaio (si dice vestito con un semplice saio di lana), davanti al castello di Canossa, in provincia di Reggio Emilia, per ottenere il perdono del Papa con la mediazione della contessa Matilde di Canossa.[2]La vicenda viene ricordata come l'umiliazione di Canossa: si narra che l'Imperatore abbia dovuto aspettare tre giorni prima di essere ricevuto dal papa nel castello di Matilde e perdonato.[3]
Ottenuto il perdono e sistemati i feudatari ribelli, Enrico IV convocò un concilio a Bressanone(1080): Gregorio VII fu deposto e sostituito con un antipapa, Guiberto di Ravenna (Clemente III);[4]ovviamente non si fece attendere la nuova scomunica da parte del Papa contro l'imperatore. Per tutta risposta Enrico IVscese in Italia e cinse d'assedio Castel Sant'Angelo, dov'era asserragliato Gregorio, che chiamò in suo soccorso i normanniguidati da Roberto il Guiscardo.[4]
Sconfitti gli imperiali, i Normanni si abbandonarono al saccheggio della città, provocando una rivolta nella popolazione romana, che costrinse il Papa a fuggire rifugiandosi presso i Normanni a Salerno, dove scomparve, da solo, nel 1085.[4]Enrico IV morì invece nel 1106. Il successore di Gregorio VII fu papa Pasquale II, il quale nel 1105 appoggiò una congiura ordita da Enrico V, figlio di Enrico IV, contro il suo stesso padre. Infatti c'erano ancora ostilità tra il papato ed Enrico IV, e così il papa vide con favore l'ascesa al trono imperiale di un nuovo imperatore. Dunque Enrico IVfu costretto ad abdicare e alla sua morte, avvenuta nel 1106, divenne imperatore suo figlio, il quale instaurò rapporti di maggiore collaborazione col papa.
I successori di Gregorio, tra i quali Pasquale II, furono più inclini al compromesso, limitandosi a pretendere che i sovrani laici non attribuissero uffici spirituali, mentre per i regnanti era fondamentale che i vescovi investiti del potere temporalericonoscessero l'autorità del sovrano. Con il patto di Sutri (1111), l'imperatore rinunciava alle investiture e i vescovi avrebbero restituito tutti i terreni ottenuti. Enrico V, riconoscendo il ruolo politico di pacificazione che aveva assunto Matilde di Canossa, decise di incoronarla fra il 6 e il 10 maggio 1111con il titolo di Vicaria Imperiale Vice Regina d'Italia presso il Castello di Bianelloa Quattro Castellain provincia di Reggio Emilia.
Il Concordato di Worms del 1122, concluso tra Papa Callisto IIed Enrico V, rappresentò un modello per gli sviluppi successivi delle relazioni tra la Chiesa e l'Impero.[4]Secondo il concordato, la Chiesa aveva il diritto di nominare i vescovi, quindi l'investitura con anello e pastorale doveva essere ecclesiastica. Le nomine, tuttavia, dovevano avvenire alla presenza dell'imperatore, o di un suo rappresentante, che attribuiva incarichi di ordine temporale ai vescovi (appena nominati dal Papa) mediante l'investitura con lo scettro, un simbolo privo di connotazione spirituale.[4]
Nonostante il concordato di Worms, la Chiesa nel Medioevo non ottenne mai un controllo completo nella nomina dei vescovi. Ma le basi per la progressiva divisione dei poteri erano state gettate. Dopo tale Concordato, in Italia i vescovi sarebbero divenuti proprietari terrieri solo dopo essere stati nominati dal Papa; in Germania invece l'Imperatore nominava feudatario di un terreno qualsiasi persona che in seguito sarebbe stata nominata con il titolo ecclesiastico di vescovo dal Papa.
SACCO DI ROMA (1084)
Il Sacco di Roma
del 1084 è uno degli episodi più cruenti della lotta per le investiture, che contrappose il Papato ed il Sacro Romano Impero tra XI e XII secolo, ed ebbe forse il suo culmine
durante i regni di Papa Gregorio VII e di Enrico IV. Nel 1075, Enrico IV decise di nominare il Vescovo di Milano, scatenando la reazione di Gregorio VII, che nel febbraio del 1076 emise ai danni
dell'imperatore un decreto di scomunica e decadenza dal trono. Enrico, temendo per la stabilità del proprio trono, preferì sottoporsi alla celebre umiliazione di
Canossadel 1077 per ottenere il perdono papale e la revoca dei decreti in suo danno. Questo episodio non mise fine alla disputa, che anzi si aggravò quando Gregorio favorì l'elezione
di un altro re in Germania (Rodolfo di Rheinfelden), mentre Enrico elesse un antipapa, con il nome di Clemente III. Infine, rafforzato anche dalla morte in battaglia di Rodolfo, Enrico IV decise
di risolvere la questione con un atto di forza e nel 1083 occupò Roma, costringendo Gregorio VII a rifugiarsi in Castel Sant'Angelo. Dopo alcuni mesi di assedio e di trattative infruttuose, il
Papa chiamò a soccorso i normanni di Roberto il Guiscardo, che il 21 maggio 1084 riuscirono a superare le mura aureliane e dettero inizio a 3 giorni di devastazioni selvagge e saccheggio
sfrenato.
Tutta Roma fu depredata, ma in particolare fu colpita la zona tra il Colosseo, l'Aventino, il Laterano e l'Esquilino e furono saccheggiate e distrutte le basiliche di San Clemente, dei Santi
Quattro Coronati e dei Santi Giovanni e Paolo. Tutta quella zona di Roma, a seguito del sacco, rimase disabitata, perché la popolazione preferì concentrarsi nell'ansa del Tevere, più vicina alla
fortezza della Mole Adriana e alla cittadella del Vaticano; questo evento pose le basi per il progressivo isolamento del Laterano dal nucleo urbano di Roma e per lo spostamento della sede papale
al Vaticano, che sarà definitivo dopo la fine della cattività avignonese. Gregorio VII non trasse alcun beneficio dall'intervento dei normanni, al contrario fu costretto alla fuga dalla
popolazione inferocita e morì a Salerno nel 1085, tenuto prigioniero proprio dal Guiscardo.
La lotta dei comuni contro l'Impero |
L’inevitabile conflitto con l’impero. Per quanto costituitisi senza fare gran chiasso e spesso col favore imperiale, i liberi Comuni si rivelarono ben presto come un vero e proprio pericolo per gli ideali “universali” feudali, sostenuti dall'imperatore e dal papa. I Comuni, infatti, grazie al loro dinamismo economico, si erano sempre più svincolati dal sistema feudale e rivendicavano la loro piena indipendenza. Inoltre, una volta divenuti una specie di piccoli Stati indipendenti, pur considerandosi sempre vassalli dell'impero, tendevano inevitabilmente all'autonomia politica e amministrativa e alla conseguente eliminazione di ogni intervento imperiale nella vita cittadina: essi governavano con proprie istituzioni e proprie leggi, si difendevano con propri eserciti, spesso grandi e ben addestrati, e si erano a poco a poco dimenticati dei loro doveri nei confronti dell'imperatore. In realtà, quella dei Comuni e quella dell’impero erano due forme di civiltà diametralmente opposte: una era diretta dal basso, l'altra dall'alto; una era rurale, l'altra cittadina; una era statica, l'altra era dinamica; una era aristocratica, l'altra sempre più borghese. Era inevitabile che esse entrassero in conflitto e che una delle due dovesse soccombere. Ciò avvenne tra il XII e il XIII secolo nel corso di sanguinose lotte, che assicurarono la vittoria alle autonomie cittadine e segnarono la lenta e progressiva decadenza dell’impero.
Prima discesa di Federico Barbarossa in Italia (1154-1155).A dare inizio alle ostilità fu uno dei più grandi imperatori del Medioevo, Federico I di Svevia(1125-1190), detto il Barbarossa, che sperò di poter unificare l'intera Europa sotto la propria autorità. Per raggiungere tale scopo, Federico decise di intervenire in Italia, soprattutto per tre motivi: assoggettare i Comuni italiani, acquistare un'indiscussa supremazia sul papato ed estendere l'influenza germanica sull’Italia meridionale ai danni dei Normanni. A incoraggiarlo a tale impresa, furono non solo le molte famiglie feudali desiderose di abbattere la potenza comunale, ma anche alcuni Comuni, come Pavia, Lodi e Como, preoccupati per l'espansionismo di Milano, nonché lo stesso papa, che contava sull'aiuto imperiale per rovesciare il Comune popolareaffermatosi a Romasotto la guida del monaco agostiniano Arnaldo da Brescia, la cui veemente predicazione contro la corruzione e l'immoralità del clero aveva costretto il pontefice a lasciare la città. Nell'ottobre del 11541'imperatore intervenne in Italia con un piccolo esercito e a Roncaglia, presso Piacenza, convocò una dieta, in cui revocò i diritti imperiali di cui si erano appropriati i Comuni e, dopo aver distrutto Asti, Chieri e Tortona, si fece incoronare a Pavia re d'Italia. Si diresse poi verso Roma e strinse un accordo con il papa Adriano IV(l'unico papa inglese della storia), che in cambio della cattura di Arnaldo gli concesse l'incoronazione imperiale (1155). Egli però non riuscì a ingraziarsi la popolazione dell'Urbe, che insorse contro di lui, costringendolo a tornarsene in tutta fretta in Germania.
Verso il tramonto dell'autorità imperiale. Il Barbarossa ritornò più volte in Italia, per contrastare l'autonomia dei Comuni lombardi e l'ostilità rinnovatagli dalla Chiesa con Alessandro III, oppositore dell'impero. Nel 1164 alcune città venete si unirono in una lega antimperiale (Lega veronese) e il loro esempio venne seguito in Lombardia, da Brescia, Bergamo, Mantova e Milano, che dettero vita con altre 36 città alla Lega lombarda(1167), sostenuta anche da Alessandro III. Nel 1174 si verificò lo scontro risolutivo: il Barbarossa, deciso a distruggere definitivamente i suoi avversari, venne battuto dalla Lega lombarda, prima ad Alessandria e poi a Legnanoe fu costretto a ristabilire la pace col papa(tregua di Venezia, 1177) e con i Comuni (pace di Costanza, 1183), ai quali venivano riconosciuti diritti sovrani, seppure con limitati obblighi feudali. Maggior successo fu ottenuto da Federico I nell'Italia meridionale, dove combinò le nozze tra suo figlio Enricoe Costanza d'Altavilla, ultima discendente della dinastia normanna: in tal modo il regno normanno dell'Italia meridionale fu unito all'impero. Nel 1190 il vecchio imperatore, morì, seguito di lì a poco (1197) dal figlio Enrico VI, che lasciò un erede di appena tre anni, Federico II, destinato a diventare una delle personalità più forti e affascinanti della storia medievale.
Verso il tramonto dell'autorità imperiale. Il Barbarossa ritornò più volte in Italia, per contrastare l'autonomia dei Comuni lombardi e l'ostilità rinnovatagli dalla Chiesa con Alessandro III, oppositore dell'impero. Nel 1164 alcune città venete si unirono in una lega antimperiale (Lega veronese) e il loro esempio venne seguito in Lombardia, da Brescia, Bergamo, Mantova e Milano, che dettero vita con altre 36 città alla Lega lombarda(1167), sostenuta anche da Alessandro III. Nel 1174 si verificò lo scontro risolutivo: il Barbarossa, deciso a distruggere definitivamente i suoi avversari, venne battuto dalla Lega lombarda, prima ad Alessandria e poi a Legnanoe fu costretto a ristabilire la pace col papa(tregua di Venezia, 1177) e con i Comuni (pace di Costanza, 1183), ai quali venivano riconosciuti diritti sovrani, seppure con limitati obblighi feudali. Maggior successo fu ottenuto da Federico I nell'Italia meridionale, dove combinò le nozze tra suo figlio Enricoe Costanza d'Altavilla, ultima discendente della dinastia normanna: in tal modo il regno normanno dell'Italia meridionale fu unito all'impero. Nel 1190 il vecchio imperatore, morì, seguito di lì a poco (1197) dal figlio Enrico VI, che lasciò un erede di appena tre anni, Federico II, destinato a diventare una delle personalità più forti e affascinanti della storia medievale.
Papa Innocenzo IIIInnocenzo III, nato Lotario dei Conti di Segni (Anagni, 22 febbraio 1161 – Perugia, 16 luglio 1216), fu il 176º papa della Chiesa cattolica dal 1198 alla morte. Era figlio di Trasimondo dei Conti di Segni e di Claricia, imparentata con la famiglia di papa Clemente III. Suo padre fu membro del famoso casato dei Conti, che alcuni genealogisti congiungono ai conti di Tuscolo e addirittura alla gens Anicia (ciò lo renderebbe lontano parente di svariati papi tra cui Benedetto IX, dei Tuscolani, e Gregorio I, degli Anici); alla stirpe dei conti di Segni furono legati da rapporti di parentela i pontefici Gregorio IX e Alessandro IV, alla loro discendenza appartiene Innocenzo XIII. BiografiaSecondo alcuni storici, Innocenzo III nacque probabilmente ad Anagni, un comune del Lazio, nell'attuale provincia di Frosinone, compì i suoi studi a Roma, poi studiò teologia a Parigi (dove ebbe fra i suoi insegnanti Pietro di Corbeil, Pietro Cantore, Pietro di Poitiers, Migliore di Pisa) e quindi diritto canonico a Bologna, dove insegnava Uguccione da Pisa, che fu appunto tra i suoi docenti. In breve tempo Lotario fu considerato uno degli intellettuali più raffinati e tra i maggiori esperti di diritto canonico dei suoi tempi. Dopo la morte di papa Alessandro III, Lotario tornò a Roma, dove ebbe incarichi durante i brevi pontificati di Lucio III, Urbano III, Gregorio VIII e Clemente III, dal quale nel concistoro del settembre 1190 fu nominato cardinale-diacono con il titolo dei Santi Sergio e Bacco. La sua carriera non fu interrotta nemmeno dall'ascesa al soglio pontificio di Celestino III (1191-1198), benché i familiari di questo papa, gli Orsini, potente e antica famiglia romana, potessero considerarsi "nemici" dei Conti di Segni; durante il suo servizio nella Curia Pontificia Lotario scrisse una delle sue opere più note: De miseria humanae conditionis, detta anche De contemptu mundi. Elezione papaleCelestino III morì l'8 gennaio 1198. Il giorno stesso si riunì il conclave e Lotario dei Conti di Segni venne eletto papa a soli trentasette anni; il nome pontificale di Innocenzo non fu scelto dall'eletto, ma gli fu imposto da Graziano da Pisa, decano dei cardinali-diaconi[1], per eliminare e sostituire il ricordo dell'antipapa Innocenzo III, eletto nel 1179, e condannato all'esilio e internato nell'Abbazia di Cava dei Tirreni (Salerno) dal 1180 al 1183, data della sua morte.[2] Si fece intronizzare il giorno del 37º compleanno. Fu il primo papa a utilizzare uno stemma personale, tradizione che si consolidò arrivando fino ai giorni nostri. In quel periodo i papi venivano preferibilmente scelti tra i giuristi ecclesiastici, in modo da rafforzare i risultati della riforma, che aveva stabilito il primato della Chiesa sull'Impero, dei chierici sui laici. Inoltre, doveva essere rafforzata anche la supremazia papale, già teorizzata progressivamente sotto il profilo canonistico nei vari secoli, attraverso i teologi di corte, rispetto alle altre sedi vescovili e metropolitane e sul mondo cristiano in generale. Innocenzo III rivendicherà il diritto di nominare i vescovi in tutto l'Occidente (di cui è Patriarca) e che prima venivano eletti dai Sinodi locali. Progressivamente tenterà di avanzare questo primato anche in Oriente, dopo il disastro della IV Crociata e il famigerato sacco di Costantinopoli del 1204, cioè soltanto centocinquant'anni dopo lo scisma che divise Papato Romano e Ortodossi (anno 1054). Il suo intento di riunificare dopo mezzo secolo la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli, cioè i latini e i greci (anche di fronte all'avanzata dei musulmani) è naufragato per le atrocità e violenze perpetrate dai crociati, in maggioranza provenienti da Venezia. Sulla scelta di Lotario dovette pesare, oltre che la sua cultura, anche il suo spirito mistico, manifestato nel trattato del De miseria humanae conditionis dove la miseria dell'uomo veniva contrapposta a una salvezza che può provenire solo dall'alto. Innocenzo III doveva rappresentare un solido caposaldo in grado di dare risposte al fiorire di ordini e gruppi religiosi non sempre fedeli alla Chiesa (come i patarini o i catari). Ma il suo misticismo non era votato al ritiro dal mondo, bensì alla sua dominazione, con il papato inteso come potere spirituale che era in grado di controllare tutti gli altri poteri. Il precursore del Giubileo: l'Indulgenza dei Cent'anni[Non esistono documenti del XII o XIII secolo al riguardo, ma fonti del 24 dicembre 1299 riportano come masse di pellegrini, a conoscenza di una leggendaria "Indulgenza Plenaria" che si sarebbe ottenuta al capodanno del secolo nuovo, cioè nel passaggio da un secolo all'altro, muovessero verso Roma fin dentro l'antica basilica di San Pietro per ottenere la remissione completa di tutte le colpe. Né il Papa dell'epoca, Bonifacio VIII, né i prelati sapevano nulla di questa usanza, ma memorie del cardinale Gaetano Stefaneschi nel documento De centesimo sive Jubileo anno liber parlano di un vecchio di 107 anni che, interrogato da Bonifacio, asserì che 100 anni prima, il 1º gennaio 1200, all'età di soli 7 anni, assieme al padre si sarebbe recato innanzi a Innocenzo III per ricevere l'"Indulgenza dei Cent'Anni". Nonostante la testimonianza di questo centenario esista, non abbiamo fonti coeve a Innocenzo o più antiche che testimonino di quest'usanza, né di altre indulgenze simili che abbiano ispirato Celestino V nel decretare la Perdonanza e Bonifacio VIII nell'istituire il Giubileo.[3] Controllo dell'aristocrazia romanaIl papato era in balia delle potenti famiglie romane che avevano con il Senato limitato notevolmente l'autorità pontificia. Innocenzo III dimostrò subito che le cose erano cambiate. L'unico senatore in carica fu rimosso e sostituito da un uomo di sua fiducia. Tale azione che in passato avrebbe causato la rivolta della popolazione romana, in tale circostanza non ebbe nessun ostacolo. Poi sostituì i giudici che erano quasi tutti esponenti dell'aristocrazia romana, sostituendoli con uomini dell'amministrazione ecclesiastica. Emerse subito la concezione fortemente teocratica del pontefice, ancor prima della sua effettiva incoronazione avvenuta il 22 febbraio. Politica temporale con l'ImperoPapa Innocenzo III Sul versante dell'Impero c'era il vantaggio che in quel momento il trono imperiale era vacante dalla morte di Enrico VI di Svevia (1197) e nessun successore era ancora stato individuato. Il Papa approfittò della debolezza di Federico II di Svevia, che all'epoca aveva quattro anni, per ripristinare il potere papale nel Regno di Sicilia, chiedendo e ottenendo dall'imperatrice Costanza, vedova di Enrico VI e madre del piccolo Federico II, la restituzione dei privilegi dei Quattro Capitoli, che Guglielmo I di Sicilia aveva precedentemente ottenuto da papa Adriano IV. Solo allora Innocenzo investì Federico II del titolo di re di Sicilia, nel novembre del 1198. Inoltre, Innocenzo ottenne da Marcovaldo di Annweiler (Vicario dell'imperatore in Italia) la restituzione alla Chiesa della Provincia Romandiolæ[4] e della Marca di Ancona. In modo simile, i Ducati di Spoleto, Assisi e Sora vennero ripresi al tedesco Corrado di Urslingen. Nel frattempo in Germania i ghibellini e i guelfi avevano eletto imperatori differenti: Filippo di Svevia e Ottone di Brunswick rispettivamente. Nel 1201 il Papa aveva appoggiato apertamente Ottone, annunciando che era stato approvato come re Romano e minacciando di scomunica tutti coloro che si fossero rifiutati di riconoscerlo. Questo anche perché Ottone aveva promesso di cedere parti italiane dell'impero e anche di rinunciare a certi diritti imperiali, tra cui la corona dell'Italia meridionale, annessa a quella imperiale con il matrimonio tra Enrico VI e Costanza d'Altavilla, che Innocenzo intendeva concedere a Federico II, suo protetto.[5]. Il papa rese chiaro ai principi tedeschi, attraverso il decreto Venerabilem del maggio 1202, come egli considerasse le relazioni tra Impero e Papato (questo decreto venne in seguito incorporato nel Corpus Juris Canonici). I punti principali del decreto erano: i prìncipi dell'Impero potevano eleggere liberamente il loro re ma il diritto di decidere se il re fosse degno della corona imperiale apparteneva al papa; in caso di doppia elezione i principi elettori dovevano chiedere al papa di arbitrare o pronunciarsi in favore di uno dei pretendenti. Questo diritto derivava dall'atto d'incoronazione di Carlo Magno compiuto da Leone III[5].
Federico II di Svevia Innocenzo III volle poi usare l'autorità papale per riprendere il potere pontificio nell'Italia meridionale: quando Gualtieri III di Brienne, che aveva ricevuto dal defunto imperatore Enrico VI la promessa dei feudi di Taranto e Lecce, nel 1201 si recò a Roma per ottenere dal papa il riconoscimento dei titoli, il pontefice lo nominò Principe di Taranto, Duca di Apulia e Conte di Lecce e inoltre lo scelse come proprio paladino per riportare il controllo nel Regno di Sicilia, messo in pericolo da quando Marcovaldo di Annweiler e Diopoldo di Acerra, col sostegno dell'arcivescovo di Palermo Gualtieri di Palearia, pretendevano il tutoraggio sul piccolo Federico II, affidato invece dalla madre Costanza proprio al Pontefice. Gualtieri, sostenuto dalle lettere del papa e dalle truppe del conte Pietro di Celano, ottenne subito dei parziali successi, ricacciando Diopoldo nel suo feudo di Sarno, ma venne poi sopraffatto dai tedeschi (1205), facendo sfumare le mire del pontefice. Nel frattempo le sorti dell'accanita guerra civile in Germania sembravano andare a favore di Filippo e così il papa cambiò parere, gli tolse il bando e si dichiarò a suo favore e, nel 1207, inviò dei legati in Germania per indurre Ottone a rinunciare al trono. Otto di Wittelsbach, un nipote del Duca Ottone I di Baviera, uccise Filippo di Svevia il 21 giugno 1208 a Bamberga[5], apparentemente per motivi personali, e alla Dieta di Francoforte, l'11 novembre 1208, Ottone IV venne riconosciuto re. Il Papa lo invitò a Roma per ricevere la corona imperiale e Ottone venne incoronato a Roma il 4 ottobre 1209. Prima dell'incoronazione Ottone promise di lasciare alla Chiesa il possesso di Spoleto e Ancona e di garantire la libertà delle elezioni ecclesiastiche; il diritto di appello illimitato per il papa e la competenza esclusiva sulla gerarchia per questioni spirituali; promise inoltre di aiutare la distruzione dell'eresia (il Patto di Neuss, ripetuto a Spira, nel 1209). Ma poco dopo essere stato incoronato, Ottone prese Ancona, Spoleto e altre proprietà della Chiesa, dandole poi ai suoi vassalli, inoltre, invase il Regno di Sicilia. Ottone venne scomunicato il 18 novembre 1210. Il Papa ottenne che la maggioranza dei prìncipi elettori ripudiasse l'Imperatore scomunicato ed eleggesse al suo posto Federico II di Sicilia; ciò che accadde alla Dieta di Norimberga, nel settembre del 1211. Federico fece le stesse promesse di Ottone IV, la sua elezione fu ratificata da Innocenzo e fu incoronato ad Aquisgrana il 12 luglio 1215.[6] Ottone si alleò con l'Inghilterra (era nipote di Giovanni Senza Terra) per combattere Filippo Augusto di Francia, ma fu sconfitto nella battaglia di Bouvines, nella contea delle Fiandre (ormai in Francia), il 27 luglio 1214, perdendo tutta la sua influenza (morì il 19 maggio 1218) e lasciando Federico II imperatore incontestato. Innocenzo svolse un ruolo importante, oltre che in Inghilterra, anche nella politica di Francia, Svezia, Bulgaria e Spagna. La quarta crociataI cavalli di san Marco, preda del saccheggio di Costantinopoli Una delle questioni più care a Innocenzo era la volontà di ricomporre lo Scisma d'Oriente del 1054, per conciliare i latini e greci. In questo senso egli prese più volte i contatti con Manuele Comneno, ma non rinunciò mai al primato di san Pietro impedendo di fatto la riconciliazione. Nel 1198 Innocenzo iniziò la quarta crociata, rivolgendosi ai cavalieri e ai nobili in Europa piuttosto che ai re (al tempo Riccardo I d'Inghilterra e Filippo II di Francia erano ancora in guerra e diversi principi tedeschi erano nemici del Papa). L'appello fu ignorato fino al 1200, quando nella Champagne venne finalmente organizzata una crociata che i veneziani, dato che i francesi arrivati per l'imbarco erano inferiori al numero concordato, e dato che vi furono altri problemi relativamente al pagamento dei costi sostenuti da Venezia per l'approntamento della flotta, i Veneziani decisero di sfruttare l'occasione per andare a sedare una rivolta scoppiata a Zara nel 1202 e poi a Costantinopoli, dopo aver ricevuto una richiesta del figlio del deposto Imperatore d'oriente (che poi decise di non mantenere fede ai patti), ove per questo misero in atto il sacco di Costantinopoli nel 1204, producendo la fittizia riunificazione delle Chiese greca e latina e la fine dello Scisma d'Oriente. In risposta Innocenzo scomunicò i veneziani di Enrico Dandolo ma, sebbene deplorasse i mezzi, accettò il risultato. L'esito della crociata in realtà non fece altro che acuire le incomprensioni tra cattolici e ortodossi, i quali non avrebbero mai perdonato il saccheggio di Costantinopoli durante il quale andarono perduti una quantità impressionante di preziose reliquie e tesori, in parte confluiti a Venezia come i famosi cavalli di San Marco. L'impero d'oriente fu spartito tra i crociati: a Venezia spettarono un quarto e mezzo (i tre ottavi) dei territori dell'impero d'oriente, tra cui Candia (Creta) e molte altre isole dell'Egeo; a Baldovino IX delle Fiandre, importante feudatario francese, spettò invece la corona di imperatore.[7] Lotta alle eresieInnocenzo fu uno strenuo avversario delle idee ritenute eretiche che si stavano diffondendo in Europa: i catari (o albigesi) nel sud della Francia avevano fatto presa su gran parte della popolazione, dagli aristocratici ai ceti più umili e l'assassinio del legato pontificio spazientì il papa, che decise di avviare contro gli eretici una vera e propria crociata (fino ad allora usata solo per combattere musulmani e pagani), sotto la guida di Simone IV di Montfort. I feudatari del nord della Francia furono ben lieti di rispondere all'appello, che li autorizzava a depredare e conquistare le ricche contrade del sud del paese, le più prospere. Fu questo il preludio della legittimazione dell'Inquisizione nel 1233: l'eresia doveva essere punita per il bene spirituale dell'individuo e per la conservazione della Chiesa. Nel 1199 la bolla papale Vergentis in senium aveva equiparato l'eresia al reato di lesa maestà. La crociata durò più a lungo del previsto, dal 1209 al 1244 (con la caduta dell'ultima piazzaforte sui Pirenei, il castello di Montségur), ma ebbe un risultato di annientamento quasi totale dei catari, anche se si registrano alcuni focolai clandestini superstiti in Lombardia e in Toscana. Il prezzo pagato era però l'essersi assunti, da parte della Chiesa, la responsabilità di massacri di ferocia inaudita, fra cui spicca il massacro di Béziers del 22 luglio 1209, allorquando i crociati massacrarono non meno di 20.000 abitanti fra uomini, donne e bambini. Le uccisioni e le devastazioni crearono il risentimento di intere popolazioni: Innocenzo, già deluso dall'esito della quarta crociata, ebbe una nuova preoccupazione. Solo gli esiti positivi della Reconquista in Spagna sembravano non aver tradito la parola "crociata". Il contrasto stridente era però visibile a tutti: l'eroe spagnolo contro i musulmani, il trionfatore della Battaglia di Las Navas de Tolosa del 1212, Pietro II d'Aragona, fu ucciso infatti nella battaglia di Muret, mentre cercava di difendere la città di Montpellier dalla furia dei crociati. Gli ordini mendicantiNel 1210 Innocenzo III dette un primo assenso orale all'Ordine francescano e nel 1211 anche ai Guglielmiti, inizialmente ordine eremitano, ma poi confluito anch'esso nell'alveo degli ordini mendicanti. Innocenzo aveva capito che l'insoddisfazione e i problemi dei ceti più umili erano facile preda dei predicatori, che senza molte difficoltà potevano diffondere movimenti ereticali in ampie fette della popolazione. Innocenzo fu il primo a cambiare il tradizionale sospetto verso gli ordini popolari, iniziando una strategia di favore verso quelli che non mettevano in discussione l'autorità gerarchica ecclesiastica. Il IV concilio lateranense e la quinta crociataNel novembre del 1215 Innocenzo convocò il IV concilio lateranense (il dodicesimo concilio ecumenico), che emanò settanta decreti di riforma. Tra questi venne definitivamente dichiarata la superiorità della Chiesa rispetto a qualunque altro potere secolare, quale unica depositaria della Grazia ed esclusiva mediatrice tra Dio e gli uomini. Se da un lato si istituiva il tribunale dell'Inquisizione contro le eresie, dall'altro si incoraggiava la predicazione popolare legittimando gli Ordini mendicanti.[8]. In tal modo la Chiesa da un lato si proclama come l'unica e vera sposa di Cristo, e in quanto tale è suprema e santa, dall'altro lato, riconoscendo gli ordini mendicanti (si veda l'attività apostolica del patrono d'Italia, san Francesco), si riconosce bisognosa di continua purificazione e di più strenui sforzi di evangelizzazione. Si decise, inoltre, una crociata generale in Terra Santa (la quinta crociata): Gerusalemme era infatti sempre nelle mani dei musulmani. La morteIl concilio fu il trionfo di Innocenzo e anche il suo ultimo atto. Morì a Perugia nel 1216 a 55 anni e venne sepolto nella cattedrale di quella città, dove il suo corpo rimase fino a quando Papa Leone XIII lo fece trasferire nella basilica di San Giovanni in Laterano, nel dicembre del 1891. Dopo la morteSanta Lutgarda riferì che il pontefice, subito dopo la morte, le apparve tutto avvolto nelle fiamme: era in Purgatorio, condannato a starci fino al giorno del giudizio, a meno che non fossero state offerte preghiere in suffragio. La santa raccontò che Innocenzo disse d'esser stato punito da Dio per tre colpe: una era non aver mai voluto chinare il capo durante la recita del Credo niceno in segno d'umiltà, le altre due non sono state riportate. Avrebbe meritato l'Inferno, ma la Vergine Maria, cui il papa era devoto, gli ottenne il Purgatorio, nonché la possibilità di ridurre le sue pene. Il cardinale Roberto Bellarmino disse al riguardo: "Se un Papa così degno di encomio e che passa così santo agli occhi degli uomini, si trova sottoposto ai più orribili tormenti fino alla fine del mondo, che cosa sarà mai riserbato agli altri ecclesiastici, religiosi e fedeli?"[9] FEDERICO BARBAROSSA Federico I Hohenstaufen, meglio noto come Federico Barbarossa (Waiblingen, 1122 – Saleph, 10 giugno 1190), fu imperatore del Sacro Romano Impero. Salì al trono di Germania il 4 marzo 1152 succedendo allo zio Corrado III, e fu incoronato Imperatore il 18 giugno 1155.
Alla morte di Enrico V di Franconia (1125), la Germania entrò in un periodo di crisi: per trent'anni fu lacerata dalla lotta tra due opposte fazioni, una guidata dai duchi di Baviera o Guelfi (dal nome del capostipite della casa di Baviera, Guelfo), l'altra dai duchi di Svevia o Ghibellini (dal fatto che gli Svevi erano stati signori del castello di Waiblingen). Con l'elezione a re di Germania di Federico I di Svevia (soprannominato Barbarossa), figlio di un ghibellino e di una guelfa, i contrasti si calmarono: al cugino Enrico il Leone Federico riconobbe la signoria su due vaste regioni, la Sassonia e la Baviera, e cercò di pacificare il paese opponendo la sua autorità alle numerose forze disgregatrici. Dopo il riordinamento della Germania Federico si volse all'Italia dove si propose di richiamare all'ordine anche i Comuni. In Italia vi erano però forze d'opposizione molto difficili da battere: i Comuni stessi, soprattutto quello di Milano, il Papato e il Regno normanno. Nel 1154, il sovrano, deciso a imporre il rispetto della propria autorità, varcò le Alpi con un contingente di cavalieri. Tutti i maggiori signori feudali italiani (marchesi del Monferrato, conti di Savoia, vescovo di Trento ecc.) lo attendevano come restauratore dell'ordine sconvolto dai Comuni; anche il papa ne chiedeva l'intervento per cercare di domare la ribellione dei Romani che, capeggiati dal monaco Arnaldo da Brescia, avevano costituito un libero Comune. In una prima Dieta tenuta a Roncaglia (presso Piacenza) nel 1154 Federico informò i rappresentanti dei Comuni di voler insediare in ogni città un podestà da lui nominato. Giunto a Roma fece catturare Arnaldo (che finì sul rogo come eretico) e papa Adriano IV lo incoronò imperatore. Sceso nuovamente in Italia nel 1158, convocò un'altra Dieta a Roncaglia alla quale convennero vescovi, abati, feudatari laici, rappresentanti dei Comuni e i maggiori giuristi dell'Università di Bologna. Federico ebbe riconosciute legittime le sue rivendicazioni e furono definiti i diritti (o regalia) spettanti al sovrano: l'emanazione delle leggi, la nomina dei magistrati, la coniazione delle monete, l'imposizione di tasse e l'armamento dell'esercito, tutti diritti che i Comuni avevano usurpato e dovevano quindi restituire. Questa restituzione fu ordinata con la Constitutio de regalibus (Costituzione delle regalìe), mentre con la Costituzione per la pace fu vietata ogni guerra privata e il costituirsi di qualsiasi associazione. Crema e Milano si ribellarono ma furono distrutte dal Barbarossa (Crema nel 1160 e Milano nel 1162), aiutato dalle truppe dei Comuni di Como, Lodi, Cremona, Pavia e Novara. Nel frattempo cresceva anche la tensione con la Chiesa per la tendenza dell'imperatore a nominare i vescovi e a considerarsi superiore al papa. Una prima reazione era avvenuta con la Dieta di Besançon (1157) in cui erano stati ribaditi i principi dottrinali su cui si fondava il primato pontificio. Quando nel 1159 fu eletto papa Alessandro III, Federico gli oppose un antipapa, Vittore IV, suscitando l'opposizione di Francia, Spagna e Inghilterra (che appoggiavano Alessandro III) e di tutti i Comuni italiani. La resistenza dei Comuni alle imposizioni imperiali sfociò nella costituzione della Lega Lombarda, una Lega difensiva che comprendeva 36 città del Veneto e della Lombardia. Il papa, i Normanni e i Bizantini si unirono ai Comuni. Lo scontro avvenne a Legnano il 29 magg. 1176 e si risolse con la vittoria dei Comuni. Federico riconobbe come papa Alessandro III e nel 1183 stipulò la Pace di Costanza con i Comuni ai quali concesse molte delle regalìe di cui godevano, ma riservandosi il diritto di convalidare l'elezione di magistrati, consoli e podestà. Nel frattempo in Germania, nel 1180, l'imperatore aveva tolto il Ducato di Baviera a Enrico il Leone. Nel 1186 fece sposare il figlio Enrico VI con Costanza d'Altavilla, erede al trono normanno. Morì nel 1190 mentre partecipava alla III crociata. Nel 1189 era morto anche il sovrano normanno Guglielmo II (padre di Costanza); Enrico VI si trovò quindi ad avere nelle sue mani il trono di Germania e quello di Sicilia. Nel 1191 fu incoronato imperatore a Roma; sul trono di Sicilia riuscì a salire però solo dopo la morte di Tancredi di Lecce (che era stato eletto re dalla feudalità normanna), nel 1194. Il sogno di Enrico VI di formare un unico grande Regno che andasse dal mare del Nord a quello di Sicilia fu reso vano dalla sua precoce morte nel 1197.
Verso il tramonto dell'autorità
imperiale. Il Barbarossa ritornò più volte in Italia, per
contrastare l'autonomia dei Comuni lombardi e l'ostilità rinnovatagli dalla Chiesa con Alessandro III, oppositore dell'impero. Nel 1164 alcune città venete si unirono in una
lega antimperiale (Lega
veronese) e il loro esempio venne seguito in Lombardia, da
Brescia, Bergamo, Mantova e Milano, che dettero vita con altre 36 città alla Lega lombarda(1167), sostenuta anche da Alessandro III. Nel 1174 si verificò lo scontro risolutivo: il Barbarossa, deciso a
distruggere definitivamente i suoi avversari, venne battuto dalla Lega lombarda, prima ad Alessandria e poi a Legnanoe fu costretto a ristabilire la pace col papa(tregua di Venezia, 1177) e con i Comuni (pace di Costanza, 1183), ai quali venivano riconosciuti diritti sovrani, seppure con limitati obblighi feudali. Maggior successo fu
ottenuto da Federico I nell'Italia meridionale, dove combinò le nozze tra suo figlio Enrico e Costanza d'Altavilla, ultima discendente della
dinastia normanna: in tal modo il regno normanno dell'Italia meridionale fu unito all'impero. Nel 1190 il vecchio imperatore, morì, seguito di lì a poco (1197) dal
figlio Enrico VI, che lasciò un erede di appena tre anni, Federico II, destinato a diventare una delle personalità più forti e affascinanti della storia
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