LA PESTE e la crisi del 1300


La crescita della popolazione iniziata nel XI secolo finì nel XIII a causa di gravi carestie e pestilenze. Molte popolazioni sono dovute andare a vivere in luoghi poco adeguati alla vita, senza servizi igienici e molte volte non avevano un’alimentazione adeguata. Infatti, la mentre la popolazione cresceva c’erano molte più bocche da sfamare e servivano quindi più cibi, però poiché mancavano i metodi adeguati per concimare e migliorare le tecniche le coltivazioni erano sempre più scarsi.


La carestia più grave fu quella accaduta nel 1315-17 in Inghilterra, Francia, Scandinavia, Fiandra Paesi Bassi, Germania e Russia che si diffuse molto velocemente a causa della malsana vita e alimentazione e come se questo non bastasse ci fu un inasprimento del clima. Interi villaggi marginali furono abbandonati mentre dove i terreni erano fertili e le città non subirono gravi cambiamenti. Le tecniche agricole non registrarono più miglioramenti né garantivano la sopravivenza. Tutti i paesi colpiti dalle carestie persero una grandissima percentuale di villaggi.


Nel 1348 insorse un nuovo problema: la PESTE. Questa fu una malattia portata dai ratti che trasportavano nelle loro pellicce le pulci che trasmettevano il batterio, questa malattia era mortale dal 60 al 100% delle volte. Quest’epidemia ebbe origine dall’Himalaya, all’India, al Mar Nero, Cartagine, Genova, Mongola che la portarono in Italia. La peste per parecchi anni non scomparve e ogni tot d’anni ritornava.

Aveva un carattere ciclico e colpiva soprattutto i poveri contadini. All’epoca la medicina era molto sottosviluppata e si credeva fosse colpa degli astri. Comunque un medico capì che era una malattia che si trasmetteva in via aerea e si raccomandava una dieta specifica priva di umori e umidità, molto importante era il salasso. Gli uomini, comunque, si affidavano ad amuleti, talismani e altri oggetti ritenuti miracolosi.


Questa malattia portò a un isterismo collettivo, gruppi di persone andavano di città in città a uccidere persone ritenute colpevoli della pestilenza, fra questi ci sono i cosiddetti FLAGELLANTI, presenti in Italia, Francia e Germania, che per 33 giorni e mezzo si martoriavano e andavano di città in città intonando salmi e canti e arrivate nelle piazze principali si facevano frustare a sangue credendo che in questo modo si sarebbero salvati eliminando i peccati alla fine della loro esibizione abitualmente uccidevano ebrei.


La chiesa non poté tollerarli molto a lungo, infatti, iniziò a perseguitarli; quindi capiamo che c’erano due modi diversi di comportarsi che però erano fortemente legati fra loro: la punizione del corpo e la violenza contro gli altri, insomma tutti avevano bisogno di ricercare un colpevole. Come ho detto prima la peste era una malattia classicista colpiva, infatti, soprattutto i poveri ma le motivazioni sono molto plausibili: alimentazione inadeguata, che indeboliva le resistenze dell’organismo. Oltre alla peste, molto spesso troviamo: vaiolo, lebbra, fuoco sacro, tubercolosi, malaria e tifo. L’età media era di 35 anni e la mortalità infantili era molto alta. Questo a causa dell’alimentazione e gli ambienti poco sani.



CRISI DEL ’300


In questo periodo l’economia europea aveva perduto il suo grande slancio. Guerre, pestilenze e il clima furono le gravi cause delle crisi. Ci fu un aumento delle piovosità che provocò grandi danni all’economia, in ogni modo, non fu questo il fattore principale. Molto più importanti furono i sistematici saccheggi che prima del ‘300 erano saltuarie. In questo periodo vari villaggi furono distrutti dalle guerre. Il crollo demografico portò a una diminuzione del prezzo dei cereali, il numero dei consumatori di cereali diminuì molto più di quello dei produttori, questo successe in tutta l’Europa a parte che nell’Italia settentrionale e dei Paesi Bassi.

In Lombardia l’espansione agricola e pastorale fu aiutata da ceti di imprenditori; nei Paesi Bassi le attività mercantili, recupero di terre strappate al mare, progressi dell’allevamento garantiranno un forte slancio economico. Il contrario fu con i salari rurali, infatti, in precedenza l’espansione demografica aveva garantito un’abbondanza di manodopera nelle campagne, adesso invece molti se ne andavano e quindi c’era carenza di manodopera. I contadini, inoltre, effettuavano prestazioni di manodopera e pagavano affitti ai loro padroni in questo modo accrescevano il loro potere contrattuale, i potenti cercarono di aumentare i canoni però questo era molto raro poiché raramente c’erano rinnovi di contratti a causa del dell’uso di stipulare contratti a lunga scadenza.


Questa crisi ebbe effetti negativi anche in campo agricolo, infatti, il crollo dei prezzi, la crescita del costo della manodopera e il blocco dei traffici facevano diminuire gli introiti dei pedaggi e i mulini o andarono in rovina o rimanevano inutilizzati; inoltre le guerre obbligavano i signori a stare per lunghi periodi in combattimento e quindi lontani dalle loro aziende, quindi dovevano affidare ad amministratori i loro possedimenti.


L’aumento dei costi e il calo dei profitti provocarono una caduta dei redditi signorili e il crollo del valore della terra, restarono fuori da queste le zone dell’Italia settentrionale che non ebbero comunque il problema della crisi. Al di fuori dell’Italia questo fu meno sentito grazie alla stabilità dei poteri. In questo periodo i nobili attaccarono gli ecclesiastici e occuparono varie funzioni importanti. Inoltre, troviamo nobili che ormai sono andati in rovina che si danno alle rapine i cosiddetti BANDITI NOBILI. In questo momento alcuni nobili capirono l’importanza di trovare una soluzione quindi recintarono le terre e iniziarono ad allevare bestiame questi erano i cosiddetti OPENFIELDS e le ENCLOSURES.


La nobiltà medievale era in continuo cambiamento, infatti la maggior parte dei nobili erano poveri e non potevano neanche minimamente pensare di paragonarsi a nobili molto più ricchi, inoltre era in continua trasformazione. La preoccupazione maggiore per un nobile era di mantenere compatto il proprio patrimonio quindi lo dava al primo figlio maschio tutti gli altri erano mandati in convento. In questo periodo iniziarono a svilupparsi nuovi individui molto importanti all’interno della nobiltà: questi erano borghesi e contadini che si arricchivano e diventavano parte integrante di una nuova nobiltà. Iniziarono grandi conflitti sociali causati dalla pressione esercitata dai signori sui contadini, dal clima di violenza, dai mali della guerra e dall’inasprimento delle tasse. Nel 1358, molti contadini dell’Ile-de-France si ribellarono questi erano le cosiddette JACQUERIE dal fondatore Jacques Bonhomme.


La rivolta fu furiosa ma molto breve, il 28 maggio la rivolta iniziò e il 9 giugno i nobili la fermarono uccidendo più di 20.000 persone. Nel 1381 in Inghilterra la situazione delle campagne era molto aspra anche a causa delle controversie fra signori. Per far fronte ai gravi problemi in Francia si mise in atto il POLL-TAX che creò gravi malcontenti. I contadini poveri volevano la confisca e la ridistribuzione dei territori del papato e i contadini ricchi richiedevano invece una diminuzione delle imposte. Volevano una nuova età dell’oro. L’episodio culminante della rivolta arrivò nel 1381 quando migliaia di contadini marciarono su Londra e la occuparono, allora Riccardo II ritenne opportuno accogliere le loro richieste così abolì la servitù, alleggerì le prestazioni. Questo alleggerì le tensioni e i contadini ritornarono ai propri poderi. I soldati riuscirono facilmente a reprimere le fazioni più bellicose.

Uno degli aspetti più gravi della crisi del ‘300 fu la riduzione dei traffici commerciali e la crisi delle manifatture urbane. Questo provocò gravi crisi fra i lavoratori e i datori di lavoro. La più grave si ebbe a Firenze città che subì i contraccolpi della crisi economica. Con questa grave crisi la città uscì dai traffici commerciali europei. Nelle città dove l’attività economica era più intensa tutte le varie botteghe erano in mano ai potenti intenditori. Nella parte più bassa della società c’erano i lavoratori, retribuiti miseramente e privi di diritti che molte volte erano imprigionati a causa dei debiti che li opprimevano.


I CIOMPI, cioè gli operai dell’Arte della lana, vivono una tragica situazione perché non avevano un’organizzazione ed erano sfruttati dai maestri delle botteghe, cercarono di darsi un’organizzazione autonoma ma il governo era intervenuto per difendere gli interessi padronali. Poco dopo Ciuto Brandini organizzò un’associazione tra i suoi compagni e cominciò a raccogliere fondi per promuoverne l’azione quindi fu impiccato. In questo periodo furono molto frequenti i conflitti per le imposte e le crisi di approvvigionamento. La situazione precipitò nel 1378 con una rivolta causata da una crisi politica. Nel conflitto fra guelfi e ghibellini Salvestro de Medici cercò di far prevalere i ghibellini per questo molti palazzi signorili e monasteri furono mandati in fiamme nacquero così 3 nuove arti del popolo minuto.


La gran borghesia le guardò con disprezzo. Così i padroni delle arti della lana proclamarono la serrata lasciando chiuse le loro botteghe. La lotta fu molto aspra ma quando riaprirono le botteghe furono sciolte e i capi imprigionati così fu ristabilito un governo oligarchico. Vari furono le cause: in primo luogo miravano a obbiettivi che riguardavano solo loro. Questo era il contrario di ciò che volevano i grandi borghesi. La popolazione non fu coinvolta in questo, infatti, una causa fu proprio questa. Una novità fu l’invenzione del tempo laico, prima il giorno era scandito dalle campane della chiesa adesso, invece, furono messi in circolazioni gli orologi, anche se poche persone potevano permetterseli.



La peste nel '300

INTRODUZIONE
Una delle tragedie che ha segnato l’Europa è sicuramente la peste. 
Questa epidemia causò particolari disagi durante il 1300, secolo nel quale a causa del diffuso commercio, i parassiti dell’uomo per la trascuratezza delle norme igieniche, invasero tutta l’Europa. Il primo vero attacco di peste avvenne nel 1347 dopo il raffreddamento del clima e le carestie. Fino al 1350 la Morte Nera uccise un terzo della popolazione europea con pesanti conseguenze socio-politiche. Oltre alla brutalità del contagio a favorire la peste influì l’ignoranza della popolazione che invece di cercare un rimedio, cercava un colpevole, ovviamente, inesistente.

La diffusione della peste in Europa

Il morbo della peste riuscì ad avere una così larga scala di diffusione a causa delle cattive abitudini sanitarie dell’epoca; infatti, le città medievali erano affollate, malsane e sporche, non garantendo nessuna protezione alle persone indebolite dalle carestie.

ROSSO: diffusione dai paesi asiatici.
VERDE: diffusione attraverso i commerci marittimi.
VIOLA: diffusione tramite la presenza di eserciti e soldati di ventura.

La grande peste arrivò nel Mediterraneo nell’ottobre del 1347, portata da navi genovesi provenienti dalle colonie della repubblica marinara sul mar Nero. Infatti, l’esercito dei tartari insediava la città di Caffa, principale scalo commerciale dei genovesi; i tartari furono sconvolti dall’epidemia di peste, contratta nei focolai permanenti che si trovavano ai piedi dell’Himalaia tra India, Cina e Birmania (quest’area presenta le condizioni climatiche adatte alla proliferazione della malattia).
Una volta contratta la malattia i mercanti genovesi la portarono per tutta l’Europa.
I primi focolai, quasi in contemporanea, scoppiarono a Genova e Messina, contestualmente ai primi scali dei mercanti che provenivano da Caffa.
Nello stesso 1347 navi provenienti da Costantinopoli diffusero la peste a Marsiglia e da lì in tutta la Francia.
Dall’Italia la peste dilagò rapidamente in tutta l’Europa, viaggiando veloce, per mare raggiunse l’Inghilterra nel 1348 e là infuriò per tre anni.

Gli Scozzesi, vedendo i loro vicini prostrati dall’epidemia, invasero le terre inglesi e portarono via oltre al bottino, la peste, che si diffuse nel loro paese nel 1350.
In Irlanda, un frate nel registrare per iscritto la desolazione intorno a sè, ed avvicinandosi alla fine, lasciò una testimonianza:”.....se fortuna vorrà che un uomo sopravviva e qualcuno della razza di Adamo sfugga alla pestilenza e voglia continuare l’opera che io ho cominciato......”.
Dall’Italia, inoltre, la peste passò per via mare anche sulle coste orientali della Spagna e da lì si mosse verso ovest, fino al Portogallo.
Da Venezia il morbo passò alle Alpi ed entrò in Austria; sempre per mare arrivò anche nel Baltico e penetrò in terra russa. Dall’Austria alla Francia ed infine in Germania, dove zelanti agitatori furono assai rapidi nello spiegare, che la causa di tutto erano gli ebrei, che avevano avvelenato i pozzi.
La peste, in tutta Europa, infuriò nella sua forma più acuta per tre anni, e dopo un breve periodo di “riposo” continuò ad aggirarsi per l’Europa; infatti, ci furono cinque gravi recrudescenze della peste prima del 1400.
Le pestilenze dopo queste gravi morie di persone andarono via via diminuendo.
Per vedere il cessare definitivo della peste in Europa, dobbiamo aspettare il 1600: la peste del 1665 a Londra fu l’ultima in Inghilterra, mentre quella del 1750 a Marsiglia, l’ultima sul suolo europeo.

 

LA PESTE A FIRENZE

Durante il 1300 l’intera Europa fu colpita da una nuova crisi che interessò tutti i settori. 
Le cause che resero questo secolo molto buio furono concatenate, ma l’aspetto più disastroso riguarda l'epidemia di peste nera. Non era la prima volta che la peste faceva la sua comparsa in Occidente.
L’Italia dopo l’anno mille si apprestava a diventare una delle più importanti potenze nell’Europa rinascimentale. Ma purtroppo con l’arrivo della pestilenza il calo della penisola fu drastico. Bisogna comunque riconoscere che la minaccia più immediata per le popolazioni italiane sembrava rappresentata dallo squilibrio ormai irreversibile fra popolazione e mezzi di sussistenza. Le città ad essere infettate furono Genova e Venezia, città marittime che erano più facilmente bersaglio del morbo. 
Ma una delle città italiane maggiormente colpite fu Firenze. 
Culla di cultura nazionale, durante questo periodo venne devastata da questa grave epidemia e ciò causò il collasso di questa nuova forma di società. 
Fu soprattutto questa città a risentirne di più, perché essendo come già detto il centro più ampio di cultura italiana, era meta di turisti e mercanti e questo facilitò il contagio. Ma a causare l’epidemia fu anche la povertà, la fame e la sporcizia.
Questa carenza demografica causò anche una lenta ma inesorabile crisi economica per la città, una svalutazione del denaro e l’abbandono delle campagne. Nel corso del XIII secolo Firenze raggiunge il culmine dell’espansione demografica medievale. Un segnale indiretto del rallentamento della crescita è costituito dalla lentezza con cui vengono portati avanti i lavori di ampliamento delle cinta murarie, divenute oramai eccessive rispetto alla necessità: nella stessa città la terza cerchia, deliberata nel 1284 e iniziata nel 1299, viene completata soltanto nel 1333. 
Secondo alcune statistiche storiche si nota come dal 1200 al 1300 la popolazione di Firenze era aumentata notevolmente, ma dal 1328 al 1347 diminuì in maniera stupefacente. Si stima che nel 1300 gli abitanti della città fossero circa 100.000, mentre nel 1450 il numero era inverosimilmente calato a 40.000.

TRA LETTERATURA E STORIA
Si credeva che la malattia fosse un sorta di castigo mandato da Dio, allo scopo di punire la depravazione dei costumi che aveva caratterizzato quest’epoca.
Si poté cosi assistere ad un riaccendersi del fervore religioso della popolazione fiorentina. Una moltitudine di persone scendeva nelle piazze e per le strade di Firenze, si recava in processione nelle chiese e si flagellava pregando ed invocando il nome di Cristo e della Vergine Maria.
Fortunatamente però, le autorità italiane riuscirono a tenere un po’ a freno il fenomeno delle processioni e dei flagellanti.
Si diffuse una grandissima devozione per quei Santi che in qualche modo erano legati alla peste e dei quali si invocava la protezione per sfuggire alla malattia.
La paura di doversi confrontare con un morbo invincibile portava le autorità e soprattutto i medici a ingannare se stessi. Ma oramai la peste era una realtà che non si poteva negare, così cominciò, come ci narra il Ripamonti, “…a fare bella mostra di sé colle stragi e i mucchi di cadaveri come in battaglia…”. 
Il carattere improvviso e letale della malattia e il terrore di contrarre il morbo da una persona infetta giustificavano il sentimento di sfiducia nei confronti del prossimo. Gli stessi religiosi per paura di infettarsi non svolgevano più il proprio compito e ciò contribuì ad aggravare la situazione, poiché uno dei timori più grandi era proprio quello di morire senza essere riusciti a confessarsi e a ricevere l’estrema unzione.
Proprio per questo tantissimi si confessavano ancor prima di contrarre la malattia. 
Come racconta il canonico Giovanni da Parma “… molti si confessavano quando erano ancora in salute. Giorno e notte rimanevano esposti sugli altari l’ostia consacrata e l’olio degli infermi.
Nessun sacerdote voleva portare il sacramento ad eccezione di quelli che miravano ad una qualche ricompensa…
”.
Se anche chi cadeva malato avesse avuto qualche possibilità di riprendersi, superando la fase critica della malattia, il suo destino era segnato per il fatto che egli veniva abbandonato da tutti, non soltanto dagli amici ma, addirittura anche dai familiari. 
In molte delle opere letterarie, che riguardano la Firenze nel periodo della pestilenza, è presente il riferimento al fatto che la moglie non volesse più vedere il marito e addirittura il padre non volesse più avere a che fare con i figli.
Gli ammalati rimanevano abbandonati nelle case da cui arrivano le invocazioni di aiuto che però rimanevano inascoltate, mentre i parenti più stretti, piangendo, si mantenevano a distanza.
Emblematico è il racconto di Marchionne di Coppo Stefani, cronista fiorentino che riferisce “…moltissimi morirono che non fu chi li vedesse, e molti ne morirono di fame, imperocché come uno si ponea in sul letto malato, quelli di casa sbigottiti gli dicevano: "Io vo per lo medico" e serravano pienamente l’uscio da via e non vi tornavano più. 
Costui abbandonato dalle persone e poi da cibo, ed accompagnato dalla febbre si venia meno alla sera e dicevano all’ammalato: "Acciocché la notte tu non abbi per ogni cosa a destare chi ti serve, e dura fatica lo dì e la notte, tutti tu stesso dè confetti, e del vino o acqua, eccola qui in sullo soglio della lettiera sopra il capo tuo, e po’ torre della roba".
Se per sua ventura si trovava la notte confortato di questo cibo la mattina vivo e forte da farsi a finestra, stava mezz’ora, innanzichè persona vi valicasse se non era la via molto maestra, e quando pure alcun passava, ed egli avesse un poco di voce che egli fosse udito, chiamando, quando gli era risposto, non era soccorso; imperocché niuno, o pochi voleano entrare in casa, dove alcuno fosse malato…
”.
In sostanza era così facile contrarre la malattia e morire che, la priorità era sopravvivere e solo in un secondo momento, eventualmente, si poteva pensare agli altri. Per evitare poi che la popolazione fosse travolta dalla disperazione e dalla depressione totale, si decise di vietare i funerali e soprattutto si evitava di suonare le campane poiché, per usufruire ancora delle parole di Marchione di Coppo Stefani, all’udirle “sbigottivano li sani, nonché i malati”.
Ma ci fu anche tantissima altra gente che di fronte ad uno scenario apocalittico come quello creato dalla peste, non pensò a deprimersi e a pregare, pentendosi dei propri peccati, ma anzi come racconta Boccaccio nel suo “Decamerone”, dopo una prima fase di disperazione e smarrimento, mentre alcuni conducevano una vita morigerata evitando il contatto con altre persone, “…altri in contraria opinion tratti, affermavano il bene assai e l’andar cantando a torno e sollazzando e il soddisfare d’ogni cosa all’appetito che si potesse e di ciò che avveniva vedersi e beffarsi esser medicina cortissima a tanto male: e così come il dicevano il mettevano in opera a bon potere, il giorno e la notte ora a quella taverna ora a quella altra andando, bevendo senza modo e senza misura, e molto più vò per l’altrui cose facendo, solamente che cose vi sentissero che lor venissero a grado o in piacere…”. 
La situazione dei costumi non cambiò neppure quando ormai il peggio era passato e i sopravissuti, invece di ringraziare Dio per averli risparmiati tenendo una condotta conforme agli insegnamenti cristiani, si diedero al lusso più estremo.
Come scrive lo stesso scrittore fiorentino Matteo Villani nella sua Cronaca, “…trovandosi pochi, e abbandonati per l’eredità e successori dei beni terreni, dimenticando le cose passate come se state non fossero, si diedero alla più sconcia e disonesta vita che prima non avieno usata, però che vacando in ozio usavano dissolutamente il peccato della gola, i conviti, le taverne e dilizie con delicate vivande, e giuochi, scorrendo alla lussuria senza freno, trovando né vestimenti strane e disusate fogge e disoneste maniere, mutando nuove forme a tutti gli arredi …”.
In realtà, la degenerazione dei costumi era iniziata già prima che la peste si diffondesse ma, fu questo evento a provocare nei sopravvissuti un desiderio irrefrenabile per il lusso e le comodità, tanto che nel periodo successivo alla peste furono introdotte nuove imposte nella città per frenarne il fenomeno. 
Quindi, come già accennato, dopo la grande paura regnava la voglia di divertirsi, dovuta alla possibilità di sfruttare tutta la roba ereditata.
Il già citato Marchionne di Coppo Stefani racconta lo stupore dei sopravvissuti diventati improvvisamente ricchi: “…e tale che non aveva nulla si trovò ricco, che non pareva che fusse suo, ed a lui medesimo pareva gli si disdicesse. E cominciarono a sfoggiare nei vestimenti e né cavagli e le donne e gli uomini…”.

GRUPPI SOCIALI
Molti morivano senza neppure aver avuto il tempo di fare testamento, mentre nella maggior parte dei casi erano gli stessi notai che evitavano di recarsi da un appestato. A volte un notaio più coraggioso si limitava a prendere semplici appunti per trascrivere successivamente le ultime volontà in un testamento canonico. Ma questo procedimento fece sì che si venisse a creare una gran confusione producendo effetti negativi negli atti emessi dai tribunali. 
Ad approfittare della situazione che si era venuta a creare furono soprattutto gli ordini religiosi, che mai come in questo periodo riuscirono ad accumulare tante ricchezze, grazie anche ai lasciti testamentari di chi, ormai prossimo alla morte, cercava di ottenere la salvezza della propria anima.
Numerosi uomini di chiesa, comunque, continuarono ad occuparsi dei più bisognosi e anch’ essi morirono di peste.
Si trovarono presto in ginocchio, invece, gli apparati pubblici in quanto la malattia aveva provocato la morte di gran parte dei contribuenti riducendo inesorabilmente le entrate.
L’elevata mortalità rischiò di mettere a repentaglio anche il buon funzionamento dello stato, poiché gli organi pubblici non riuscivano a raggiungere il quorum necessario per adottare le decisioni. 
Ma logicamente il tasso di mortalità si riversò terribilmente anche sull’economia, poiché diminuì la manodopera e questo fece sì che si crearono le basi per una nuova carestia. Ad essere colpiti non furono solo i ceti più bassi, ma anche coloro che gestivano l’intero assetto economico. 
Eclatante è il fallimento di varie banche fiorentine come quelle dei Bardi, dei Peruzzi degli Acciaiuoli ecc…
E come se non bastasse la disastrosa situazione economica, la popolazione era tartassata con varie imposte e dazi; in più i lavoratori dovevano sopportare orari di lavori gravosi. Questo portò allo scoppio di varie rivolte sociali.
La rivolta più significativa si ebbe a Firenze. Il settore di punta dell’economia fiorentina era la lana in mano ai grandi imprenditori dell’Arte Maggiore della lana.
Alle loro dipendenze vi erano molti operai che erano costretti a lavorare anche diciotto ore al giorno e vedevano il loro salario sempre più diminuire.
La rivolta fu detta dei Ciompi dal nome dei lavoratori della lana fautori della sommossa. Ma molto presto i Ciompi persero l’appoggio delle Arti Minori e quando lo scontro si inasprì, essi furono sconfitti e la loro arte fu sciolta.

URBANISTICA
Il contagio era facilitato nelle abitazioni misere, sporche e anguste in cui il cosiddetto "popolino" era costretto a vivere, infatti con la crescita demografica la città era diventata un groviglio di case piccolissime; però, dopo la peste lo spazio a disposizione di ogni persona era accresciuto enormemente.
Questo fatto portò alla riunione in un’unica struttura di più abitazioni e alla creazione di grandi palazzi: i sopravissuti volevano vivere in spazi più ampi e per questo avviarono una risistemazione edilizia che mutò radicalmente la visione della città. Una teoria affascinante sostiene che la peste favorì la formazione di ingenti patrimoni, creando un periodo di grande splendore come quello Rinascimentale, di cui quello fiorentino ne è uno dei più spiccati esempi. 
In conclusione, la grande peste che devastò Firenze nel 1348 non soltanto cambiò la città nell’aspetto urbanistico, ma cosa ben più importante mutò il modo di pensare degli uomini del tempo.

 

 

Peste nera (o Grande morte o Morte nera) è il termine con il quale ci si riferisce normalmente all'epidemia di peste che imperversò in tutta Europa tra il 1347 e il 1353 uccidendo almeno un terzo della popolazione del continente. Epidemie identiche scoppiarono contemporaneamente in Asia e in Vicino Oriente, il che fa supporre che l'epidemia europea fosse parte di una più ampia pandemia.


Cronologia della diffusione del morbo

 


 

Origine dell'espressione

Per peste nera si intende, in data odierna, la grande epidemia che uccise tra un terzo e metà della popolazione europea durante ilXIV secolo. Nel Medioevo non era utilizzata questa denominazione, ma si parlava della grande moria o della grande pestilenza. Furono cronisti danesi e svedesi a impiegare per primi il termine morte nera (mors atra, che in realtà deve essere intesa come "morte atroce") riferendolo alla peste del 1347-53, per sottolineare il terrore e le devastazioni di tale epidemia.

Nel 1832 questa definizione venne ripresa dal medico tedesco Justus Friedrich Karl Hecker. Il suo articolo sull'epidemia di peste del 1347-1353, intitolato La morte nera, ebbe grande risonanza, anche in quanto venne pubblicato durante un'epidemia dicolera. L'articolo fu tradotto in inglese nel 1833 e pubblicato numerose volte. Da allora i termini Black death o Schwarzer Tod("Morte nera") vennero impiegati per indicare l'epidemia di peste del XIV secolo.

L'Europa alla vigilia della pandemia


Tra il 900 e il 1300 la popolazione europea duplicò. Vastissimi territori vennero strappati a foreste e paludi e resi coltivabili. Le zone maggiormente sviluppate erano l'Inghilterra meridionale, le valli della Senna e della Loira in Francia, la valle del Reno e le città anseatiche in Germania, le Fiandre, i Paesi Bassi e l'Italia.Come sottolinea Norman F. Cantor nella sua opera In the Wake of the Plague, l'Europa del Medioevo doveva la nascita di unità statali, gli efficienti sistemi giuridici e formativi, lo sviluppo delle città e la crescita del commercio anche al fatto che il periodo che va dall'Ottocento al Milletrecento fu caratterizzato da un clima particolarmente favorevole, in un'area che andava dall'Islanda aVarsavia e da Oslo fino a Palermo, oltre che alla mancanza di grandi epidemie.

Questi territori erano popolati molto più densamente del resto d'Europa, e vi si trovavano anche le città più popolose. L'Europa del Trecento disponeva di eccellenti università, costruiva stupefacenti cattedrali in stile gotico e stava vivendo un'autentica fioritura artistica e letteraria. Tra il 1214 e il 1296 non intervenne alcun grande conflitto a bloccare lo sviluppo della società, e i confini europei non erano minacciati, né a sud dagli arabi, né a est dai bizantini. Solo nel 1241 un'invasione mongola venne sventata, ma per cause indipendenti dalla potenza delle armate europee (che furono, infatti, sconfitte nello scontro presso Liegnitz - Legnica, in Slesia, una regione meridionale dell'attuale Polonia), in quanto le armate asiatiche furono richiamate in patria per motivi legati a problemi interni dell'impero mongolo.

Nelle università avevano grande importanza gli studi teologici e filosofici, mentre alle scienze naturali si dedicava un'attenzione minore. Le poche conoscenze chimiche venivano impiegate nell'alchimia, e quello che si conosceva dell'astronomia serviva per oroscopi e profezie. In particolare, poco sviluppate erano le scienze mediche. Non era chiara l'origine delle malattie, né si aveva alcuna idea su come curarle. La società medievale, come nota Norman Cantor, disponeva di rimedi prevalentemente non sanitari per le devastanti conseguenze di una pandemia: preghiera, penitenza, quarantena dei malati, sfollamento delle persone sane e ricerca di capri espiatori.

Già prima della pandemia vi furono avvisaglie di crisi: a partire dal 1290, in molte parti d'Europa, vi furono lunghi periodi di carestia, provocati principalmente dal raffreddamento del clima, la cosiddetta piccola era glaciale, che perdurò a fasi alterne fino alla prima metà del XIX secolo. Delle ricerche sui prezzi dei cereali a Norfolk, in Inghilterra, mostrano che tra il 1290 e il 1348 vi furono 19 anni di raccolti scarsi. Ricerche analoghe svolte in Linguadoca segnalano 20 anni di produzione agricola insufficiente tra il 1302 e il 1348. Dal1315 al 1317 la Grande carestia infuriò in tutta l'Europa settentrionale, e anche gli anni 1346 e 1347 furono anni di carestia nel sud dell'Europa. Tra il 1325 ed il 1340 le estati furono molto fresche ed umide, comportando abbondanti piogge che mandarono in rovina molti raccolti ed aumentarono l'estensione delle paludi esistenti.

Già nel 1339 e nel 1340 vi furono epidemie nelle città italiane, che provocarono un deciso aumento della mortalità. Le fonti fanno supporre che si trattasse prevalentemente di infezioni intestinali. Tutte le città europee di quel tempo erano, a dir il vero, delle vere e proprie discariche a cielo aperto, con cumuli di rifiuti giacenti a marcire per strada. Come se non bastasse, la tragica situazione igienica era aggravata dall'assenza di fognature, con rifiuti organici versati direttamente in strada da finestre e balconi. È questo il quadro nel quale, nell'ottobre 1347, la peste fa la sua comparsa nei porti del Mar Mediterraneo, a Messina, a Costantinopoli (Istanbul) ed a Ragusa di Dalmazia (Dubrovnik). L'epidemia della peste fece la sua comparsa anche a Venezia, nota come la città del commercio, che intratteneva scambi di prodotti con l'estremo oriente. Si pensa che il batterio della malattia fu portato dai topi che viaggiavano a bordo delle navi e che, una volta approdate queste ultime, sbarcassero sulla terraferma, liberando le pulci, uniche vettrici della malattia. Una volta appurato che tutto si muoveva e gravitava attorno alle navi e ai topi, nacque la precauzione di fare sostare per quaranta giorni le navi, con il loro equipaggio, a largo della Laguna di Venezia, per appurare se ci fossero degli infetti. Da qui nacque il termine "quarantena".

Si pensava anche che la peste venisse portata da gruppi marginali come le streghe e gli ebrei; questi ultimi erano da sempre perseguitati perché accusati di deicidio o regicidio, cioè dell'uccisione di Gesù considerato rispettivamente in quanto Dio e in quanto re mistico della società cristiana. Il fatto che la società ebraica e la società cristiana fossero in pratica reciprocamente separate facilitava le persecuzioni. Le streghe erano perseguitate poiché accusate di parteggiare per il demonio e di avere con questo rapporti carnali nel corso di rituali chiamati sabba durante i quali tra l'altro avrebbero sacrificato bambini bevendo il loro sangue. C'erano anche altre ipotesi sul diffondersi della peste come congiunzioni astrali sfavorevoli e punizioni divine. La medicina dell'epoca non aveva fatto grandi passi avanti rispetto ai tempi dell'impero romano, così i medici, basandosi sulle conoscenze di Ippocrate e Galeno, i due più importanti medici dell'antichità, pensavano di poter guarire dalla peste eliminando dal corpo l'humus negativo, tagliando una vena al paziente e facendone uscire del sangue; in realtà, però, anche questo contribuiva al diffondersi del contagio e soprattutto all'indebolimento del paziente, facilitandone la morte.

Gli uomini di fede ritenevano che la peste fosse stata mandata da Dio come punizione, perciò organizzarono preghiere collettive, processioni, movimenti quali i flagellanti. Ciò contribuì ad alimentare l'epidemia: tali eventi collettivi si rivelarono un'ottima occasione per veicolare l'agente patogeno per via respiratoria.

Scoppio della peste e diffusione in Europa

L'area di origine della pandemia sembra esser stata quella regione dell'Asia centrale a cavallo del Pamir, dell'Altaj e del Tannu-Tuva. La causa scatenante parrebbe esser stata la moria di roditori, in quelle regioni, dovuta alla scarsità di cibo conseguente all'irrigidimento delle condizioni climatiche. In assenza di roditori, le pulci, vettori del bacillo della peste, affamate, attaccarono anche l'uomo e gli altri mammiferi. Il tutto venne aggravato dal fatto che i rifiuti, abbondanti ed a cielo aperto nelle città medioevali, attrassero i roditori affamati, sia selvatici che domestici. Infine, l'efficiente sistema di comunicazioni dell'impero mongolo propagò il contagio in poco tempo da un capo all'altro del continente asiatico, fino all'Europa che - geograficamente - altro non è che una propaggine dell'Asia.

Nel 1338 o 1339 raggiunse le comunità afferenti alle Chiese orientali cristiane assire presso il lago Issyk-Kul, nell'odierno Kirghizistan. Le prime testimonianze scritte circa l'epidemia sono state rinvenute proprio presso questo lago, che costituiva una tappa obbligata sul cammino della Via della Seta. Nel 1345 si segnalarono i primi casi a Sarai sulVolga meridionale ed in Crimea. Nel 1346 la peste fece le prime vittime ad Astrakhan. L'anno successivo il morbo raggiunse i confini dell'Europa di allora. L'Orda d'Oro, guidata da Ganī Bek, assediava Caffa (l'attuale Feodosija o Феодосия), ricca colonia e scalo sulla via dell'oriente della Repubblica di Genova, nella penisola di Crimea. La peste raggiunse la città al seguito dell'Orda d'Oro: le cronache dell'epoca riportano (come ha scritto Michel Balard sulla scorta della cronaca[1] anonima, ma attribuita a un certo frate francescano, Michele da Piazza[2]) che gli assedianti gettavano con le catapulte i cadaveri degli appestati entro le mura della città. Gli abitanti di Caffa avrebbero immediatamente gettato in mare i corpi, ma la peste comunque entrò in città in questo modo.

Una volta a Caffa, la peste fu introdotta nella vasta rete commerciale dei Genovesi, che si estendeva su tutto il Mediterraneo. A bordo delle navi commerciali che partivano da Caffa nell'autunno del 1347 la peste giunse a Costantinopoli, prima città europea contagiata, e in seguito arrivò a Messina e nel corso dei successivi tre anni contagiò tutta l'Europa fino alla Scandinavia e alla Polonia. L'Egitto trasmise la peste alla Nubia (Sudan) ed all'Africa centrale. Le prime regioni europee ad esser contagiate furono gli Urali, ilCaucaso, la Crimea, e la Turchia.

  • Dalla Germania venne contagiata la Danimarca e dalla Danimarca venne esportata la peste alle sue dipendenze d'oltremare, Islanda e Groenlandia.

Per limitare i rischi di contagio, dopo il 1347 le navi, sulle quali si sospettava la presenza di peste, venivano messe in isolamento per 40 giorni (quarantena, dal francese "une quarantaine de jours"). La quarantena poteva impedire che gli equipaggi mettessero piede a terra, ma non impediva che lo facessero i ratti, contribuendo così alla diffusione della malattia.

Conseguenze politiche della peste nera[modifica | modifica wikitesto]

« Della minuta gente, e forse in gran parte della mezzana, era il ragguardamento di molto maggior miseria pieno; per ciò che essi, il più o da speranza o da povertà ritenuti nelle lor case, nelle lor vicinanze standosi, a migliaia per giorno infermavano; e non essendo né serviti né atati d'alcuna cosa, quasi senza alcuna redenzione, tutti morivano. E assai n'erano che nella strada pubblica o di dì o di notte finivano, e molti, ancora che nelle case finissero, prima col puzzo de lor corpi corrotti che altramenti facevano a' vicini sentire sé esser morti; e di questi e degli altri che per tutto morivano, tutto pieno.

Era il più da' vicini una medesima maniera servata, mossi non meno da tema che la corruzione de' morti non gli offendesse, che da carità la quale avessero a' trapassati. Essi, e per sé medesimi e con l'aiuto d'alcuni portatori, quando aver ne potevano, traevano dalle lor case li corpi de'già passati, e quegli davanti alli loro usci ponevano, dove, la mattina spezialmente, n'avrebbe potuti veder senza numero chi fosse attorno andato: e quindi fatte venir bare, (e tali furono, che, per difetto di quelle, sopra alcuna tavole) ne portavano.

Né fu una bara sola quella che due o tre ne portò insiememente, né avvenne pure una volta, ma se ne sarieno assai potute annoverare di quelle che la moglie e 'l marito, di due o tre fratelli, o il padre e il figliuolo, o così fattamente ne contenieno. »

(Giovanni BoccaccioDecameron)

Si calcola che la Peste nera uccise tra i 20 e i 25 milioni di persone, un terzo della popolazione europea dell'epoca. Per le vittime in Asia e Africa mancano fonti certe. Le cifre devono venir considerate con prudenza, perché le testimonianze dei contemporanei riportano numeri probabilmente esagerati, per esprimere il terrore e la crudeltà di questa pandemia. Per esempio, ad Avignone i cronisti dell'epoca stimarono fino a 125.000 morti, quando Avignone, a quei tempi, non contava più di 50.000 abitanti. Più affidabili i dati relativi a istituti religiosi: morirono tutti i religiosi agostiniani di Avignone, tutti i francescani di Carcassonne e Marsiglia, che erano circa 150; 153 su 160 francescani a Maguelon, 133 su 140 francescani a Montpellier (da St. C. Ujvari "Storia delle epidemie" ed. Odoya, 2011).


Rappresentazione della peste bubbonica nella. "The Chronicles of Gilles Li Muisis" (1272-1352), abbot of the monastery of St. Martin of the Righteous. Bibliothèque royale de Belgique, MS 13076-77, f. 24v.

Più delle cifre sono i destini individuali a dare un'idea concreta delle devastazioni della peste: Agnolo di Tura, cronistasenese, lamentava di non trovare più nessuno che seppellisse i morti, e di aver dovuto seppellire con le proprie mani i suoi cinque figli. John Clyn, l'ultimo monaco ancora in vita in un convento irlandese a Kilkenny, metteva sulla carta, poco prima di morire egli stesso di peste, la sua speranza che all'epidemia sopravvivesse almeno un uomo, che potesse continuare la cronaca della peste che egli aveva cominciato. Giovanni Villani, cronista fiorentino, venne stroncato dalla peste in maniera tanto repentina che la sua cronaca si interrompe a metà di una frase. A Venezia morirono 20 medici su 24, ad Amburgo 16 membri del consiglio cittadino su 20. A Londra morirono tutti i mastri della corporazione dei sarti e dei cappellai. Un terzo dei notai di Francia morì, così come un terzo dei cardinali riuniti ad Avignone.

La Peste nera non colpì tutta Europa con la stessa intensità: alcune (rare) zone rimasero quasi immuni dal contagio (come alcune regioni della Polonia, il Belgio e Praga), altre invece furono quasi spopolate. In Italia la peste risparmiòMilano, mentre a Firenze uccise quattro quinti degli abitanti. In Germania invece, mentre il meridione venne prevalentemente risparmiato, Amburgo, Brema e Colonia vennero colpite in maniera massiccia dall'epidemia. Gli effetti sulla popolazione furono senz'altro più gravi in Francia e in Italia che in Germania. In Scandinavia ebbe un effetto disastroso; specialmente in Norvegia, dove la pandemia colpì così tanto la popolazione da lasciarla senza sovrani. Fu in quel momento che i tre regni nordici, DanimarcaNorvegia e Svezia si unirono sotto la guida della regina Margherita I di Danimarca.

Furono necessari alcuni secoli perché la popolazione europea ritornasse alla densità precedente la pandemia. David Herlihy nota che il numero degli abitanti dell'Europa cessò di calare solo nei primi decenni del XV secolo, e che nei cinquant'anni successivi rimase stabile, per poi riprendere lentamente ad aumentare attorno al 1460.


„Il medico della peste“, acquaforte di Paulus Fürst 1656 (da J. Columbina). Durante l'epidemia dipeste del 1656, a Roma, i medici ritenevano che questo abbigliamentoproteggesse dal contagio. Indossavano un mantello cerato, una sorta di occhiali protettivi e guanti. Nel becco si trovavano sostanze aromatiche.

I medici e la loro reazione[modifica | modifica wikitesto]

I medici dell'epoca rimasero disorientati di fronte a questo fenomeno, per loro incomprensibile. Allora la formazione del medico prevedeva una solida preparazione astrologica, che impegnava la maggior parte del loro studio. Le teorie mediche risalivano all'antichità, a IppocrateGaleno, secondo i quali le malattie nascevano da una cattiva miscela (discrasia) dei quattro umori del corpo: sangue, flemma, bile gialla e bile nera. L'idea stessa del contagio era sconosciuta alla medicina galenica, e del tutto impensabile la trasmissione di malattie da animale a uomo. Si pensava piuttosto che dei "soffi pestiferi" avessero trasportato la malattia dall'Asia all'Europa, oppure che la malattia fosse causata da miasmi provenienti dall'interno della terra.

consigli o regimi contro la peste, opere mediche che mostravano come difendersi dal contagio, divennero quasi un genere letterario. In particolare il più importante fu il Regimen Sanitatis Salernitanum, documento scritto in latino in cui erano contenute tutte le competenze mediche del tempo. Si consigliava di tener aperte solo le finestre rivolte a nord, perché i venti da sud - caldi e umidi - erano considerati dannosi. Il sonno durante il giorno era bandito, così come il lavoro pesante. Secondo molti la peste colpiva di preferenza le donne giovani e belle. E, in effetti, la peste contagiava con maggior facilità più le donne degli uomini, e più i giovani che gli anziani.

Il medico Gentile da Foligno elaborò la teoria del soffio pestifero: una congiunzione sfavorevole dei pianeti avrebbe risucchiato l'aria dalla terra, aria che sarebbe ritornata sulla terra in forma di "soffio pestifero". La facoltà di medicina dell'Università di Parigi, incaricata da Filippo VI di redigere una relazione sulle cause dell'epidemia, fece propria questa tesi, e così questa spiegazione assunse grande autorevolezza e venne tradotta in numerose lingue europee.

Molti medici, di fronte alla peste, fuggivano. Se fuggivano erano considerati dei vigliacchi. Se restavano, erano considerati interessati solamente al denaro. Riferisce il cronista Marchionne di Coppo Stefani: "Medici non se ne trovavano, perocché moriano come gli altri; e quelli che si trovavano, volevano smisurato prezzo innanzi che intrassero nella casa." In caso di peste, l'unico dovere del medico era di invitare l'ammalato a confessarsi. Il rimedio cui i medici più frequentemente ricorrevano erano fumigazioni con erbe aromatiche. Papa Clemente VI, per tutta la durata dell'epidemia ad Avignone, rimase rinchiuso nei suoi appartamenti, dove erano accesi grandi falò. È probabile che in questo modo riuscì realmente a sfuggire al contagio: il calore allontana le pulci.

A lungo termine la peste fece sì che la medicina si emancipasse dalla tradizione galenica. Papa Clemente consentì che si sezionassero cadaveri, pur di scoprire le cause dalla malattia. La ricerca diretta sul corpo umano per mezzo di studi anatomici ebbe un maggior impulso dopo la peste, un primo passo in direzione della medicina moderna e dellascienza empirica. Ma dovevano trascorrere quasi 200 anni prima che Girolamo Fracastoro (1483-1533) si confrontasse in maniera più sistematica con l'idea di contagio.

La peste e la società medievale[modifica | modifica wikitesto]

Molti ritennero che la Peste fosse una punizione divina, e cercarono conforto nella religione. Movimenti religiosi nacquero spontaneamente in conseguenza della peste, o nel timore dell'epidemia, e molti di essi sfidavano il monopolio ecclesiastico sulla sfera spirituale. La vita quotidiana era segnata da rogatorie e processioni. I flagellanti percorrevano le strade delle città. Il culto di San Roccopatrono degli appestati, divenne particolarmente intenso, e i pellegrinaggi divennero più frequenti. In molti luoghi sorsero chiese votive e altri monumenti, come le cosiddette "colonne della peste", per la paura degli uomini e per il loro desiderio di essere liberati dal flagello.

Nella generale disperazione, vi furono altri che decisero di gustare ogni minuto, almeno il pensiero di esso.[3] L'economia non poteva reggere l'urto dell'epidemia. La manodopera moriva, fuggiva, o non riusciva più a svolgere il proprio compito. Per molti non aveva più senso coltivare i campi, se comunque la morte ben presto doveva raggiungerli.

La persecuzione degli ebrei[modifica | modifica wikitesto]

L'autorità della Chiesa e dello Stato crollò molto rapidamente, anche per l'inefficacia delle misure messe in campo contro il contagio. Boccaccio, nel Decameron, annota: E in tanta afflizione e miseria della nostra città era la reverenda autorità delle leggi, così divine come umane, quasi caduta e dissoluta tutta per li ministri e esecutori di quelle, li quali, sì come gli altri uomini, erano tutti o morti o infermi o sì di famigli rimasi stremi, che uficio alcuno non potean fare; per la qual cosa era a ciascun licito quanto a grado gli era d'adoperare.[4]

A soffrire maggiormente di questa perdita di autorità fu chi si trovava ai margini della società medievale. Soprattutto in Germania l'epidemia fu accompagnata da una gravissima persecuzione degli ebrei, probabilmente la più grave fino alla Shoah.

pogrom ebbero inizio quando la popolazione esasperata individuò negli ebrei i colpevoli della catastrofe. Le autorità tentarono di arginare le violenze. Già nel 1348 papa Clemente VI definiva "inconcepibili" le accuse che gli ebrei diffondessero la peste avvelenando i pozzi, perché l'epidemia infuriava anche dove non c'erano ebrei, e laddove vi erano ebrei, anch'essi finivano vittime del contagio.

Il papa invitava il clero a porre gli ebrei sotto la sua protezione. Clemente VI vietò di uccidere ebrei senza processo e di saccheggiare le loro case. Le bolle papali ebbero effetto solo ad Avignone, mentre altrove contribuirono ben poco alla salvezza degli ebrei. Lo stesso vale per la regina Giovanna I di Napoli che, nel maggio 1348, aveva diminuito i tributi dovutile dagli ebrei che vivevano nei suoi possedimenti provenzali, per compensare le perdite dovute ai saccheggi subiti. Nel giugno dello stesso anno i funzionari reali vennero cacciati dalle città della Provenza, fatto che illustra la debolezza della tutela degli ebrei causata dalla perdita di autorità dei monarchi.

L'accusa che gli ebrei avvelenassero fonti e pozzi cominciò a circolare agli inizi del 1348: in Savoia alcuni ebrei, inquisiti, sotto tortura avevano ovviamente ammesso questo reato. La loro confessione si diffuse rapidamente in tutta Europa, e scatenò un'ondata di violenze, soprattutto in Alsazia, in Svizzera e in Germania. Il 9 gennaio 1349, a Basilea, venne uccisa una parte degli ebrei che vi abitavano. Il consiglio cittadino della città aveva allontanato i più agitati tra quelli che istigavano alla violenza, ma la popolazione si rivoltò, costringendo gli amministratori a togliere il bando e a cacciare gli ebrei. Una parte di loro venne rinchiusa in un edificio su di un'isola sul Reno, cui poi venne dato fuoco. Anche a Strasburgo il governo cittadino aveva tentato di proteggere gli ebrei, ma venne esautorato dalle corporazioni. Il nuovo governo si mostrò tollerante verso l'annunciato massacro, che ebbe luogo nel febbraio 1349, quando la peste ancora non aveva raggiunto la città. Vennero uccisi 900 ebrei, sui 1884 residenti a Strasburgo.

Si discute sul ruolo dei flagellanti nei pogrom. Si riteneva che, ancora prima dell'arrivo della peste, essi avessero istigato la popolazione contro gli ebrei in città come Friburgo,ColoniaAugustaNorimbergaKönigsberg e Ratisbona. La ricerca più recente è però del parere che i flagellanti siano stati una "comoda giustificazione" (Haverkamp).

Nel marzo 1349, 400 ebrei di Worms preferirono appiccare il fuoco alle loro case e morirvi che finire nelle mani della folla in rivolta. Lo stesso fecero in luglio gli ebrei di Francoforte. A Magonza gli ebrei si difesero, e uccisero 200 dei cittadini che li stavano attaccando. Ma alla fine anche a Magonza, che all'epoca era la più grande comunità ebraica d'Europa, gli ebrei si suicidarono incendiando le proprie case. I pogrom proseguirono sino alla fine del 1349. Gli ultimi ebbero luogo ad Anversa e Bruxelles. Quando la peste cessò, ben pochi ebrei erano rimasti in vita tra Germania e Paesi Bassi.

Conseguenze a lungo termine della peste nera[modifica | modifica wikitesto]

La peste nera provocò un mutamento profondo nella società dell'Europa medievale. Come ha dimostrato David Herlihy, dopo il 1348 non fu più possibile mantenere i modelli culturali del XIII secolo. Le gravissime perdite in vite umane causarono una ristrutturazione della società che, a lungo termine, avrebbe avuto effetti positivi. Herlihy definisce la peste "l'ora degli uomini nuovi": il crollo demografico rese possibile ad una percentuale significativa della popolazione la disponibilità di terreni agricoli e di posti di lavoro remunerativi. I terreni meno redditizi vennero abbandonati, il che, in alcune zone, comportò l'abbandono di interi villaggi. Le corporazioni ammisero nuovi membri, cui prima si negava l'iscrizione. I fitti agricoli crollarono, mentre le retribuzioni nelle città aumentarono sensibilmente. Per questo un gran numero di persone godette, dopo la peste, di un benessere che in precedenza era irraggiungibile.

L'aumento del costo della manodopera favorì un'accentuata meccanizzazione del lavoro. Così il tardo Medioevo divenne un'epoca di notevoli innovazioni tecniche. David Herlihy cita l'esempio della stampa. Fino a quando i compensi degli amanuensi erano rimasti bassi, la copia a mano era una soluzione soddisfacente per la riproduzione delle opere. L'aumento del costo del lavoro diede il via a una serie di esperimenti che sfociò nell'invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg. Sempre Herlihy ritiene che l'evoluzione della tecnica delle armi da fuoco sia da ricondurre alla carenza di soldati.

La Chiesa, cui moltissime vittime dell'epidemia avevano lasciato in eredità i loro beni, uscì dalla peste nera più ricca, ma anche meno popolare di prima. Non era riuscita a dare una risposta soddisfacente al perché Dio avesse messo alla prova l'umanità in maniera tanto dura, né era riuscita ad essere vicina al proprio gregge, quando questo ne aveva maggior bisogno. Il movimento dei flagellanti aveva messo in discussione l'autorità della Chiesa. Anche dopo che questo movimento tramontò, molti cercarono Dio in sette mistiche e in movimenti di riforma, che alla fine distrussero l'unità spirituale dei cristiani.

Secondo alcuni storici della cultura, tra cui in particolare Egon Friedell, la peste nera causò la crisi delle concezioni medievali di uomo e di universo, scuotendo le certezze della fede che avevano dominato fino ad allora, e vede un rapporto causale diretto tra la catastrofe della peste nera e il Rinascimento.