Giorgio Bassani (Bologna 2916 – Roma 2000)
Giorgio Bassani , nato a Bologna il 4 marzo 1916 da una famiglia della borghesia ebraica, trascorse l'infanzia e la giovinezza a Ferrara, destinata a divenire il cuore pulsante del suo mondo poetico.
Laureato in lettere a Bologna nel 1939 inizia a scrivere ed a pubblicare sotto pseudonimo di Giacomo Marchi a causa delle leggi antisemite: il suo primo libro è "Città in pianura" del 1940.
Trasferitosi a Roma nel 1943 trascorre tre mesi in carcere a causa della sua militanza antifascista. Uscito dal carcere sposa,Valeria Sinigallia.
Nel 1948 viene assunto alla rivista letteraria "Botteghe Oscure" e, nel 1958, dirigente della Feltrinelli, 'scopre' "Il Gattopardo" di Tomasi di Lampedusa.
Giorgio Bassani per fissare sulla carta le abitudini e mentalità della comunità israelitica borghese e benestante di Ferrara, gli orrori delle persecuzioni nazifasciste e razziste di cui fu vittima, la crudeltà della storia e l'incantesimo dell'infanzia, la separazione tra gli strati sociali, la solitudine dell'uomo e la felicità del sogno, ha preso a modello l'Ottocento.
Fra le sue opere sono da ricordare "La passeggiata prima di cena" (1953), "Gli ultimi anni di Clelia Trotti" (1955), "Cinque storie ferraresi" (1956) poi riscritte e uscite con il titolo "Dentro le mura" (1973), "Gli occhiali d'oro" (1958), "Il giardino dei Finzi-Contini" (1962), "L'odore del fieno" (1972).
Molte di queste opere
sono state raccolte da Bassani stesso nel ciclo de "Il romanzo di Ferrara" (1974).
Le opere che hanno dato più notorietà allo scrittore sono state "Cinque storie ferraresi", "Il giardino dei Finzi-Contini", dal quale è stato tratto il film per la regia di Vittorio De Sica
e"L'airone".
Di Giorgio Bassani poeta ricordiamo: "Storie dei poveri amanti" (1945), "Te lucis ante" (1947)," Un'altra libertà" (1952), riuniti poi nel volume "L'alba ai vetri" (1963), "E: Epitaffio" (1974),
"In gran segreto" (1978), "In rima e senza" (1983).
Bassani è morto all'ospedale San Camillo di Roma, il 13 aprile 2000 e sepolto nel cimitero ebraico di Ferrara .
Il giardino dei Finzi-Contini
Il giardino dei Finzi-Contini, pubblicato da Einaudi nel 1962, è il romanzo più celebre di Giorgio Bassani (1916-2000), scrittore nato a Bologna ma di origine ferrarese; il romanzo racconta le vicende della ricca famiglia ebraica dei Finzi-Contini nella Ferrara degli anni Trenta. Il critico Alberto Asor Rosa inserisce il romanzo nel novero delle opere del “tardo-neorealismo”.
Riassunto
Il romanzo prende le mosse da un’immagine funebre e da un ricordo memoriale, presentata nel Prologo del romanzo: durante una gita domenicale conclusasi nella necropoli etrusca di Cerveteri il narratore - un anonimo io narrante per molti aspetti simile all’autore Bassani - ricorda la grande tomba della famiglia Finzi-Contini nel cimitero ebraico di Ferrara. Questo ricordo porta con sé, in un unico impulso, la memoria degli anni giovanili e, in particolare, dello speciale rapporto che aveva legato il narratore a quella famiglia. Il narratore ricorda così la Ferrara di fine anni Venti e Trenta, una ricca cittadina di provincia, che ha uno dei propri centri nell’attiva e aristocratica comunità ebraica. Di questa fanno parte la famiglia del narratore e quella dei Finzi-Contini: è attraverso i momenti di vita comunitaria (come le riunioni in sinagoga nei giorni di funzione o nelle grandi festività) che il narratore comincia a conoscere i membri di quella strana famiglia, che molto fa parlare di sé per l’isolamento altezzoso in cui si trincera, emblematizzato dall’alto muro di cinta che chiude l’enorme giardino della loro villa.
Un alone di mistero e curiosità avvolge i coniugi Finzi-Contini e i loro figli, Micòl e Alberto, quasi coetanei del narratore, che durante l’anno ricevono lezioni private nella loro casa e frequentano il locale liceo classico solo per conoscere gli esiti delle pagelle. Proprio in una di queste circostanze il narratore fa per caso la conoscenza di Micòl. Dopo una sonora bocciatura in matematica, l’io narrante vaga sconsolato in bicicletta per la città, indeciso su come rientrare a casa e confessare la verità ai genitori. Egli incontra così Micòl affacciata all’alto muro del giardino, che, dopo un rapido scambio di battute, lo invita a scavalcare per visitare il giardino. L’esitazione dovuta al fascino inquieto che Micòl già esercita su di lui, unita al sopraggiungere di un imprevisto (il guardiano del giardino, il Perotti, che richiama la ragazzina), fa sì che il narratore debba aspettare quasi dieci anni per varcare la soglia di quel giardino che già dava adito a fantasie e desideri.
Si arriva così al 1938, nel frangente storico in cui sull’Italia e sulla comunità ebraica di Ferrara si stringe la morsa delle leggi razziali fasciste. Il protagonista, che ora frequenta l’università, riceve un inaspettato invito a giocare a tennis nel campo privato di Alberto e Micòl, all’interno della villa. Il circolo del tennis di Ferrara ha cominciato a ritirare le tessere degli iscritti ebrei e i due giovani Finzi-Contini, con il gusto aristocratico e naïf che li contraddistingue, organizzano una sorta di circolo alternativo. Il narratore coglie l’occasione e inizia a frequentare assiduamente la “magna domus”, come viene ironicamente chiamata la grande villa in mezzo al parco privato. Al gruppo ristretto dei tennisti si aggiunge spesso Giampiero Malnate, un perito chimico di tendenze marxiste. Il circolo dei Finzi-Contini e il loro immenso giardino diventano così uno spazio protetto e chiuso rispetto alla Storia e alla tragedia che incombe sull’Italia e - in particolare - sugli ebrei. Il personaggio principale e Micòl, diventata una ragazza spigliata e conturbante, sfruttano questa occasione per approfondire il loro rapporto nel corso di lunghe passeggiate e giri in bicicletta per il parco. Micòl manifesta in queste occasioni la sua spiccata predilezione per il passato, quasi che l’attesa di qualcosa dal futuro sia per lei inutile e priva di reale valore. L’amicizia tra i due, intensa e ambigua, viene confusa dal narratore per la possibilità di un amore più maturo e consapevole. In una scena determinante, Micòl e il narratore si trovano da soli in un garage, all’interno di una vecchia e decrepita carrozza dei Finzi-Contini, ma il protagonista non sa decidersi ad agire.
Anche la partenza di Micòl per Venezia per frequentare l’università, all’inizio della terza parte del Giardino, non interrompere le visite del protagonista a casa Finzi-Contini, nella convinzione che mantenere quel legame serva a tenere viva la speranza di un amore futuro. Il protagonista, nell’inverno tra il 1938 e il 1939, approfondisce la conoscenza con il padre di Micòl, il professor Ermanno, con Alberto Finzi-Contini e con Giampiero Malnate, con cui si impegna in lunghe conversazioni sulla crisi internazionale che prelude alla Seconda guerra mondiale. La vicenda ha una svolta in occasione delle festività per Pesach (la Pasqua ebraica): il narratore, abbandonando le tristi ritualità familiari, corre a casa Finzi-Contini per l’improvviso ritorno di Micòl. La bacia, ma ottiene in cambio una reazione fredda e dissimulata. Da qui il protagonista è combattuto tra nuovi (e goffi) tentativi di seduzione e il desiderio di restaurare l’antica amicizia con Micòl, sempre più sfuggente e irraggiungibile. A mano a mano che questo amore si trasforma in ossessione e frustrazione aumentano anche le inquietudini dovute all’imminente ingresso dell’Italia in guerra al fianco della Germania nazista. Mentre il mondo placido della Ferrara alto-borghese ed ebraica è vicino al collasso, il rapporto tra Micòl e il protagonista giunge al naturale esaurimento. È la ragazza, dopo l’ennesimo approccio fallito, a spiegare al protagonista l’impossibilità di un amore reale tra due persone in tutto e per tutto simili come loro:
Io… io le stavo di fianco, capivo?, non già di fronte: mentre l’amore - così, almeno, se lo immaginava lei - era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda: uno sport crudele, feroce, ben più crudele e feroce del tennis!, da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d’animo e onestà di propositi. [...] E noi? Stupidamente onesti entrambi, uguali in tutto e per tutto come due gocce d’acqua (“e gli uguali non si combattono, credi a me!”), avremmo mai potuto sopraffarci l’un l’altro, noi?
Le visite a Micòl nella primavera-estate del 1939 si diradano fino a cessare del tutto, e vengono sostituite dalle serate trascorse a parlare di politica con Giampiero Malnate. Con lui il narratore si reca anche in un bordello e, al rientro in casa, ha un colloquio sincero e risolutore con l’anziano padre, dopo il quale si convince a porre fine alle proprie illusioni. Specularmente alla prima scena con i due personaggi bambini, il protagonista si reca per un’ultima volta al giardino dei Finzi-Contini: qui ha un’illuminazione, intuendo, pur non potendone avere alcuna certezza, che forse è proprio Malnate l’amante segreto di Micòl. Il romanzo si chiude così con una nota di serena e pacifica disillusione:
“Che bel romanzo”, sogghignai, crollando il capo come davanti a un bambino incorreggibile.
Nell’Epilogo, il narratore tira allora le fila delle vicende: dopo quella notte, il mondo dei Finzi-Contini si è chiuso per sempre, non solo per lui. Alberto è morto nel 1942 per un tumore, che già aveva manifestato i suoi sintomi nel corso della storia; i Finzi-Contini sono stati deportati nel campi di sterminio dopo l’8 settembre 1943 e anche Giampiero Malnate è morto durante la disastrosa Campagna di Russia. Il romanzo si chiude come si era aperta, all’insegna della morte e della memoria di Micòl:
Certo è che, quasi presaga della prossima morte, sua e di tutti i suoi, Micòl ripeteva di continuo anche a Malnate che a lei, del suo futuro democratico e sociale, non gliene importava nulla, che lei il futuro, in sé, lo abborriva, ad esso preferendo di gran lunga “le vierge, le vivace et le bel aujourd’hui”, e il passato, ancor di più, il caro, il dolce, il pio passato.
E siccome queste, lo so, non erano che parole, le solite parole ingannevoli e disperate che soltanto un vero bacio avrebbe potuto impedirle di proferire: di esse, appunto, e non di altre, sia suggellato qui quel poco che il cuore ha saputo ricordare.
Giorgio Bassani (1916-2000) mette al centro della sua opera la storia di Ferrara e della sua numerosa comunità ebraica, vittima della persecuzione razziale fascista.
Bassani, nato a Bologna, fu antifascista e partecipò alla Resistenza, conoscendo il carcere e la persecuzione.
Il nucleo essenziale della sua produzione, costituito da sei opere, è stato raccolto dallo scrittore nel 1974 sotto il titolo complessivo de Il romanzo di Ferrara e comprende: Cinque storie ferraresi (1956), ripubblicate con il titolo Dentro le mura (1973); Gli occhiali d'oro (1958); Il giardino dei Finzi Contini (1962); Dietro la porta(1964); L'airone (1968); L'odore del fieno (1972).
Meno note sono la sua produzione poetica (In rima e senza, 1982) e le prose saggistiche e autobiografiche che si trovano in Le parole preparate e altri scritti di letteratura (1966) e in Di là dal cuore (1984).
Quella di Bassani è una scrittura della memoria che, rievocando vicende comuni sulle quali si scatena la violenza di una follia collettiva, riesce a ridare senso al passato.
I suoi personaggi, per lo più ebrei, diventano l'emblema della tragedia esistenziale che travolge chi vive una lacerante diversità. Così la giovane enigmatica Micol del Giardino dei Finzi Contini, considerato il suo capolavoro, è protesa verso il presente perché presaga del destino di morte.
Il medico ferrarese del romanzo breve Gli occhiali d'oro è costretto al suicidio per la solitudine e l'emarginazione vissute a causa della sua omosessualità, condannata dal fascismo.
Al centro del romanzo Dietro la porta è una storia d'iniziazione alla vita di un giovane liceale che scopre traumaticamente la sessualità, vissuta come peccato.