La cavalleria e gli ideali cavallereschi
Per comprendere meglio i contenuti delle prime forme letterarie di età cortese non si può evitare di fare riferimento al mondo della cavalleria in quanto, come abbiamo già intravisto, la “classe militare”, cioè la casta dei nobili guerrieri (bellatores) era alla base della società medioevale. Abbiamo visto come il ceto aristocratico di origine guerriera (conti, baroni, nobili) era determinante nella società medioevale. Con il passare del tempo tra gli appartenenti all’antica nobiltà guerriera, gli esperti nell’uso delle armi divennero progressivamente insufficienti per sopperire ai bisogni delle guerre e delle faide. Pertanto si ricorse all’esigenza di creare nuove milizie; fu così che si venne a creare quello che sarà il nerbo dell’esercito, costituito dai soldati a cavallo e questa nuova classe militare che viene ad integrare la vecchia nobiltà guerriera costituisce la cavalleria. Questa classe diventa realmente una protagonista fondamentale della vita sociale del Basso Medioevo ma anche della vita culturale e letterale. La visione del mondo, cioè l’immaginario collettivo, viene dunque influenzata fortemente da questa nuova classe sociale, in particolare essa era formata dai figli dei cadetti dell’antica nobiltà che erano esclusi dalla successione ereditaria dei feudi, potevano scegliere la vita monastica o la carriera militare. Gli appartenenti a strati inferiori della nobiltà, che non avevano mai posseduto un feudo o erano decaduti, erano diventati dei mercenari. Almeno i tre quarti della cavalleria erano in realtà costituiti da gente nuova, che proveniva dal rango dei “ministeriales”, cioè i “funzionari di corte”, gli amministratori (segretari del feudatario, sovrintendenti di corte, scudieri, staffieri). Molti cavalieri potevano essere quindi di origine bassa, servile e per la prima volta avevano la chance di diventare i “compagni d’armi”: in cambio dei loro servigi militari ottenevano terre. Dunque dobbiamo riflettere sul fatto che con questa ascesa sociale dei ministeriales si ha la testimonianza di una prima fase della mobilità sociale, che mette in moto dei nuovi meccanismi, anche se già alla fine del XI sec. il nuovo ceto cavalleresco viene di nuovo sbarrato e possono diventare cavalieri solo i figli dei cavalieri.
Gli ideali cavallereschi
Durante l’età cortese dunque i cavalieri diventavano gli interpreti più rappresentativi della visione del mondo e dell’etica feudale e quindi influenzarono direttamente la letteratura. I cavalieri prendono coscienza del proprio ruolo sociale, sempre più rilevante e si sentono in dovere di elaborare alcuni proprio ideali di comportamento e di visione della realtà: una propaganda della loro visione del mondo. I cardini di questa visione della vita cavalleresca si possono sintetizzare in:
- L’idea fondamentale è l’importanza che viene data al valore della prodezza, cioè il valore anzitutto nell’esercizio delle armi e, in particolare è prode chi ha coraggio e chi sa avere sprezzo del pericolo.
- Il senso dell’onore, che si accompagna con il desiderio di gloria, che coincide con la rispettabilità, per cui perdere l’onore è peggio della morte.
- Il valore della lealtà, cioè il rispetto dell’avversario e del codice di combattimento che perdura fino al 1700; generosità con i vinti (la clementia).
Tutti questi valori sono complementari tra loro e formano un sistema unitario di comportamento: venir meno all’ideale della prodezza, per esempio sottraendosi allo scontro, compromette l’onore, lo stesso vale per la slealtà. In particolare gravissima era considerata l’infedeltà verso il proprio signore: la fellonia.
Un altro principio fondamentale nell’ambito della visione cavalleresca è, ancora più importante della nobiltà di nascita, la nobiltà d’animo (principio che la vera nobiltà è intima, non quella esteriore). Questo principio è destinato ad avere sviluppi fondamentali in seguito, soprattutto nell’ambito della civiltà urbana (si pensi al dolce stil novo, che insisterà sul concetto di “gentilezza” d’animo, come dote naturale di una persona).
L’amor cortese
Gli ideali cavallereschi tipici della classe feudale trovano il loro luogo di espressione principale nella corte, cioè nel centro della vita sociale e culturale delle elite aristocratiche.
La vita di corte inoltre viene codificata in elaborate forme rituali che fanno sì che alle virtù tipicamente guerriere e cavalleresche si affianchino anche virtù “civili”, in primo luogo ad esempio viene molto valorizzata la virtù della liberalità (larghezza), cioè il disprezzo del denaro e di ogni meschino attaccamento ai beni materiali. Inoltre molto importanti sono la magnanimità (generosità) d’animo e la virtus di stampo classico, cioè dell’essere misurati ed equilibrati.
Sempre di stampo classico è anche il valore della bellezza, cioè il culto delle belle arti, delle maniere eleganti, del rispetto delle gerarchie e il culto delle belle forme si deve riflettere nel carattere delle persone (il bello per i Greci è perfezione interiore, cioè la dimensione dell’anima).
Il contrario di tutti questi valori si riassume in un termine chiave: la villania, cioè è villano chi letteralmente veniva dalla campagna e quindi era abituato a uno stile di vita rozzo (campagnolo = rozzo, per l’appunto). L’opposto è invece essere cortesi e in particolare, simbolo assoluto della cortesia diventa la dama, cioè un soggetto attorno a cui ruota tutto questo sistema di valori e lei stessa ne diventa pertanto una fonte principale; per cui la dama, pur non essendo dotata di un potere reale a livello politico e sociale, diventa un soggetto molto carismatico, che ha un forte potere di soggezione nei confronti dei cavalieri; specialmente la dama diventa il fulcro della corte quando il signore è assente. Dunque anche la concezione dell’amore, che emerge nella letteratura cortese, è nuova ed è molto particolare rispetto a quella dominante nel mondo classico, dove l’amore, nonostante le differenze abissali tra uomo e donna, era concepito in maniera paritaria. Invece nell’età cortese la concezione dell’amore non è più paritaria, ma si afferma da parte dell’amante un vero e proprio culto della donna, cioè essa è vista dall’amante come un essere sublime, impareggiabile e irraggiungibile.
Non è un caso che l’atteggiamento del cavaliere nei confronti della propria dama, per quanto riguarda il servizio d’amore, ricalchi molto da vicino l’atteggiamento del cavaliere stesso nei confronti del proprio signore. Per cui possiamo dire che il cavaliere non inventa un nuovo modo di apportarsi alla donna, ma semplicemente trasferisce il codice di comportamento che ha nei confronti del proprio signore alla dama. E’ interessante notare infatti come questo passaggio venga rappresentato nella letteratura di età cortese. Infatti nei primi testi di autori di lirica provenzale, si trova il tema del servitium amoris, sviluppato come una sorta di investitura del cavaliere da parte non più del signore ma da parte della donna. In queste descrizioni poetiche infatti compaiono dei riferimenti a gesti, azioni ed oggetti che hanno forti legami simbolici con la realtà del vassallaggio.