GABRIELE D'ANNUNZIO (1863- 1938)
BREVE BIOGRAFIA
Fece della sua vita un' opera d'arte" secondo i principi dell'estetismo che egli stesso affermava.
Nacque a Pescara nel 1863 da una famiglia borghese e fu precocissimo poiché cominciò subito a comporre. Compie gli studi liceali a Prato dove rimane fino al 1881; anno in cui si trasferisce a Roma dove viene accolto dalla società letteraria nei salotti mondani, diventando cronista mondano.
Acquistò subito notorietà producendo versi, opere e articoli giornalistici che spesso erano a contenuto erotico e suscitavano scandalo, ma divenne anche famoso per la sua vita altrettanto scandalosa con avventure galanti, lusso e duelli, vive in una villa come se fosse un principe rinascimentale, tra oggetti d'arte e cavalli di razza. In questo modo esalta un modo di vivere "inimitabile" che caratterizza il suo essere esteta, individuo superiore che si distingue dalla mediocrità borghese da cui rifugge inorridito. Conduce una vita sontuosa e piena di scandali.
1889 Pubblica “Il Piacere”
1892 incontro con la filosofia di Nietzsche ( da cui deriva l’ideale del superuomo, un uomo che si sente superiore e per questo può dominare la massa )
1894 Relazione con la famosa attrice Eleonora Duse, inizio guai economici per i debiti lasciati dal padre.
1897 si fa eleggere deputato della Destra per poi passare alla Sinistra
1898 si trasferisce a Firenze nella villa La Capponcina dove conduce una vita dispendiosa.
1904 compone i primi tre libri delle laudi (Maia, Elettra e Alcyone).
1910 a causa dei debiti si trasferisce in Francia fino al 1915 (mantiene i contatti con l’italia tramite la collaborazione al Corriere Della Sera sul quale appaiono “Le Faville del maglio” testo in prosa autobiografico (1924-1928)
1912 compone il quarte libro delle Laudi, Merope
1915 scoppio prima guerra mondiale e si dimostra acceso interventista.
1916 perde un occhio in un incidente aereo e nel periodo di infermità scrive il Notturno prose autobiografiche pubblicato nel 1921
1919 compie l’Impresa di Fiume per denunciare l’insoddisfazione dell’Italia dopo i trattati di pace
1920 compone l’ultimo libro delle Laudi, Asterope
1921 si ritira nella villa “Il Vittoriale” a Gardone Riviera sul lago di Garda fino alla morte nel 1938.
POETICA di D'Annunzio.
Insieme a Pascoli è uno dei maggiori esponenti del decadentismo italiano.
D’ANNUNZIO e PASCOLI hanno in comune l’idea di letteratura e la visione del poeta;
1) secondo entrambi crolla la visione del poeta-vate, il poeta non è la guIda della società;
2) solo il poeta conosce e comprende la natura;
3) utilizzo di un linguaggio che solo il poeta comprende.
Ma si differenziano sulla visione della poesia; Pascoli infatti la vede come una poesia molto intima mentre per D’Annunzio la poesia è una celebrazione di se stesso.
Sono tre i temi principali della poetica di D’Annunzio: Estetismo(esteta), superomismo (super uomo), panismo.
Estetismo: (esteta o dandy) è il cultore del bello, colui che ricerca il bello, strettamente legato alla condizione economica; come da una frase de “Il Piacere”: “fare della propria vita come se fosse un’opera d’arte” ovvero ricercare oggetti, situazioni che elevano il poeta dalla massa; l’esteta non è un uomo comune, egli disprezza la massa; egli è un uomo vuoto moralmente, e caratterialmente debole. (anticipazione personaggio dell’inetto).
Questo personaggio (esteta),grazie alla filosofia di Nietzsche si trasforma nel Superuomo; cioè un uomo che si sente superiore alla massa e che di conseguenza può dominare culturalmente la società dando un’immagine vincente di sé; inoltre domina anche la natura, diventa parte integrante di essa.
Panismo cioè la trasformazione dell’uomo in elemento naturale.
Definizione del panismo: “l’uomo si naturalizza, la natura di umanizza”.
Riassunto dei tre concetti: “Esteta che diventa superuomo e si fonde con la natura”.
IL PIACERE
Il piacere, il primo romanzo di D’Annunzio, pubblicato nel 1889, a soli 26 anni, è diviso in 4 libri.
La vicenda, ambientata a Roma, ha per protagonista Andrea Sperelli, ultimo rampollo di una nobile famiglia, un esteta il cui principio-guida è, secondo l’ideale dello stesso D’Annunzio, quello di “fare” la vita come si fa un’opera d’arte. Il giovane trascorre il tempo lontano dal “grigiore” della quotidianità, circondandosi di cose raffinate e lussuose, immerso in attività fuori del comune. La sua esistenza viene però turbata dall’abbandono dell’amante, la bella e misteriosa Elena Muti, che Andrea, nonostante le numerose avventure frivole, non riesce né a sostituire né a dimenticare. Ferito in duello, durante la convalescenza, si innamora, riamato, di Maria Ferres, una giovane molto spirituale. Ben presto però il rapporto si complica per la somiglianza fra le due donne: Andrea, sempre più tormentato dal ricordo di Elena, ricerca con la nuova amante le sensazioni provate con l’altra e quando, durante una notte d’amore, si rivolge a Maria chiamandola inconsapevolmente Elena, la donna inorridita capisce la verità e lo lascia.
Rispetto alla tradizione narrativa italiana l’opera ha caratteristiche assai nuove. D’Annunzio conserva, dell’impianto verista, la volontà di dipingere un affresco sociale e di costume, all’interno del quale indugia a descrivere l’ambiente moralmente malato, corrotto e ozioso dell’aristocrazia.
L’influenza delle nuove tendenze culturali europee incide fortemente sullo scrittore, spingendolo verso la costruzione di un romanzo in cui gli eventi esterni lasciano spazio all’analisi minuziosa delle psicologie e l’intreccio perde spessore rispetto all’indagine dei tortuosi meccanismi interiori dei personaggi, sui quali l’autore si sofferma con attenzione.
Con questo romanzo l’Italia conobbe un nuovo personaggio, un nuovo tipo di uomo, l”esteta. Andrea Sperelli, conte Fieschi-d’Ugenta, .
L’esteta protagonista del romanzo, è cresciuto col padre, che l’ha indirizzato all”arte e alla classicità, perché la bellezza è il valore cardine della vita perfetta. Sperelli, il giovane privato del normale rapporto materno, abita in un palazzo a Roma, Palazzo Zuccari, edificato a partire dagli ultimi anni del Cinquecento. Circondato da oggetti d”arte e da splendidi e preziosi complementi d’arredo, Andrea trascorre la sua vita partecipando a feste, banchetti, ritrovi, cene galanti, concerti.
La Roma del Piacere è la Roma umbertina, città gaudente, raffinata, lasciva, che si adatta bene al temperamento del protagonista. L’autore presenta ampi scorci cittadini, come Porta Pia e Trinità dei Monti, ed eleganti interni, come quelli di Palazzo Zuccari e di Palazzo Schifanoia, a Ferrara.
Il romanzo, ambientato tra il 1885 e il 1887, serve a D’Annunzio per denunciare la profonda limitatezza e mediocrità della classe borghese, oltre che la crisi dei valori e degli ideali dell”aristocrazia.
Andrea, tutto imbevuto di erudizione e di conoscenza artistica, fonda la sua vita su una massima paterna: egli crede che ”bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte”.
Nella vita di Andrea non c’è posto per sentimenti umani, per amori sinceri: seguendo ancora gli insegnamenti paterni, egli sa che ”bisogna sopra tutto evitare il rimpianto occupando sempre lo spirito con nuove sensazioni e con nuove imaginazioni”, perché chi è libero dai rimpianti, tipici degli spiriti ”disoccupati”, saprà ”conservare ad ogni costo intiera la libertà, fin nell’ebrezza”.
La libertà è uno dei temi del romanzo: la libertà d”amare e di possedere, in campo amoroso, senza essere posseduto si riconoscono in Andrea, che si ritroverà da solo, all’inizio come alla fine del romanzo.
La scelta di Andrea di interrompere e di inseguire nuove relazioni sembrerebbe influenzata dalla volontà materna di riversare il suo amore non sul figlio, ma sul nuovo amante. Andrea crede di poter mantenere le redini di questa vita rivolta alla menzogna, ma egli viene sconfitto dal suo stesso cuore: egli crede d’essere un superuomo, ma è solamente il primo degli ”umiliati e offesi” (per citare Dostoevskij, ripreso da D’Annunzio nella stesura di Giovanni Episcopo, il suo secondo romanzo, apparso nel 1892) scaturiti dalla penna dell”Immaginifico. La vita illusoria, quasi sognata, vissuta da Andrea, si serve dei sensi, importanti per il godimento artistico e sensuale. L”esteta Sperelli, così come Dorian Gray e Jean Floressas Des Esseintes, è destinato ad essere sconfitto, perché il suo estetismo non conduce alla felicità. Il giovane esteta, tutto affascinato dalla bellezza, è diviso tra due donne: da una parte c’è Elena Muti, bella, seducente, tutta presa da passioni ferine e sessuali; dall”altra parte c’è Maria Ferres, una donna sposata, sensibile, colta, che si dedica con amore alla figlioletta.
Elena e Maria rappresentano l’oggetto del desiderio di Andrea: entrambe incarnano il desiderio più profondo del ragazzo, l”appagamento totale, che scaturirebbe dal possedere entrambe le due donne, così diverse, ma così importanti per soddisfare quel cuore dilaniato. Andrea è interessato all”erotismo prorompente di Elena, ma anche alla purezza d’animo di Maria, che crede d”essere amata davvero. Andrea vede in Maria quello che non ha ricevuto da sua madre, l’amore materno disinteressato. Elena e Maria sono contrapposte in maniera evidente, non solo per quanto riguarda il comportamento, ma hanno anche nomi particolarmente importanti: la prima ha il nome della mitica donna che causò la guerra di Troia, a causa del suo corpo statuario; la seconda ha lo stesso nome della madre di Cristo, che si reca sotto la croce piangendo e avendo pietà degli assassini del Figlio.
Tra cammei, vasi antichi, duelli mortali, arazzi, tele pregiate, corse a cavallo, concerti, si muove Andrea Sperelli, tutto teso a ristabilire il valore supremo della bellezza, che è stata surclassata dal profitto e dal capitalismo. Sotto il ”grigio diluvio democratico”, Andrea, con la sua vita inimitabile, irraggiungibile per chi non condivide il culto del bello, conferisce all’arte quella sua importanza imprescindibile. Sperelli è l’ ”ultimo discendente d’una razza intellettuale”, l’ultimo gentiluomo e artista, l’ultimo uomo libero dalla morale, e qui si scorge la futura influenza nietzschiana sull’opera di D’Annunzio, dalla prosa al teatro.
Il piacere presenta una prosa artificiosa, musicale, roboante, ampollosa.
Nel lessico si riconoscono termini latini, francesi, inglesi, greci, tedeschi. La vasta cultura di D’Annunzio e la sua grandissima abilità di scrittore trasportano il lettore in un mondo passato, vicino al declino, prossimo alla fine, quasi come le tele di Gustav Klimt che, con elementi preziosi, cercavano di nascondere il crollo dell”Impero austro-ungarico.
I motivi di fondo del Piacere presentano forti affinità con quelli del romanzo più rappresentativo del Decadentismo europeo di quegli anni, À rebours, di Joris-Karl Huysmans. Come il duca Jean Des Esseintes, protagonista dell’opera di Huysmans, anche Andrea Sperelli è totalmente votato alla ricerca estetica, al pieno godimento delle più raffinate sensazioni, e, come lui, destinato alla sconfitta. Compare qui, in maniera estremamente esplicita, quel motivo che la critica ha indicato fra quelli fondamentali della personalità dannunziana, il velleitarismo, ovvero la frattura tra il desiderio di affermazione del proprio io e la costante percezione dell’impossibilità di ottenerla.
In questo senso, Il piacere anticipa le posizioni che D’Annunzio verrà precisando nei romanzi successivi. Ma è indispensabile ricordare ancora una volta che quest’opera testimonia l’eccezionale capacità dello scrittore nel captare e assimilare le espressioni della più recente cultura d’oltralpe, e si propone, proprio per questo, come il primo contributo italiano alla definizione europea dell’eroe decadente che, dopo Des Esseintes, assumerà, in Inghilterra, le splendide e ambigue fattezze di Dorian Gray, l’inquietante protagonista dell’omonimo capolavoro di Oscar Wilde.
Il poeta e la divina
La famosa attrice Eleonora Duse
LA PIOGGIA NEL PINETO di Gabriele D’Annunzio
La lirica appartiene alla sezione centrale di Alcyone, dedicata all’estate. Il poeta, insieme a una donna chiamata Ermione, è sorpreso dalla pioggia mentre passeggia nella pineta di Marina di Pisa.
Fu scritta nell’estate del 1902, quando Gabriele D’Annunzio e la compagna Eleonora Duse (la più grande ed importante attrice di teatro italiana tra Ottocento e Novecento) soggiornavano alla “Versiliana”, villa signorile presso Marina di Pietrasanta (Lucca), tra Forte dei Marmi e Viareggio. La spiaggia e la pineta che fanno da scenario al canto dannunziano sono quelle di Marina di Pisa, ad una cinquantina di chilometri dalla “Versiliana”.
Metricamente la canzone è formata da quattro strofe di 32 versi liberi (ternari, quinari, senari, settenari, ottonari, novenari) ciascuna.
L’ultimo verso di ogni strofa è costituito dal nome di Ermione.
Il poeta si trova a Marina di Pisa con la sua amante e famosissima attrice Eleonora Duse. la donna amata accompagna il poeta durante una passeggiata estiva in una pineta vicino al mare, finché un temporale non li sorprende, lasciandoli soli e intimi nel pineto, sotto l’acqua che cade e che crea un’atmosfera surreale. La donna viene chiamata “Ermione”, un nome che ricorda un personaggio della mitologia greca, figlia di Elena e Menelao, sposata e abbandonata da Oreste.
D’Annunzio è come Oreste che torna a lei e alla Natura dopo aver dimenticato di contemplare questo mondo incontaminato, perso nella vita caotica e mondana della città.
Quindi i due amanti passeggiano in una deserta pineta vicino al mare, li sorprende un fresco temporale estivo. Le gocce, cadendo leggere sui rami e sulle foglie, creano una musica magica e orchestrale, destando odori e vita segreta nel bosco. I due amanti si inoltrano sempre più nel fitto della vegetazione e, così circondati, coinvolti e immersi da una sinfonia di suoni, profumi e sensazioni sprigionati dalla pioggia, si sentono parte viva della natura che li circonda, fino ad immedesimarsi con essa stessa e a trasformarsi in creature vegetali. Questa trasformazione inizia nella seconda strofa, dove il poeta paragona il volto di Ermione a una foglia e i suoi capelli a una ginestra e si compie nell’ultima strofa, dove D’Annunzio definisce Ermione non bianca ma quasi fatta virente, cioè verde, come una pianta, e ne paragona i vari elementi del corpo ad altrettanti elementi naturali: il cuore alla pesca, gli occhi alle polle (pozzanghere) d’acqua, i denti alle mandorle.
In questa immersione totale del poeta e di Ermione nel paesaggio naturale che li circonda entrambi ritrovano “La favola bella che illude”, cioè la vita con i suoi sogni d’amore e le sue speranze.
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
Parafrasi:
Taci. Entrando nel bosco non odo più suoni umani, ma odo parole insolite pronunciate dalle gocce che cadono in lontananza. Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. Piove sulle tamerici impregnate di salsedine ed arse dal sole, sui pini dalle scorze ruvide e dalle foglie aghiformi, sui mirti sacri a Venere, sulle ginestre dai gialli fiori raccolti e sui ginepri che sono pieni di bacche profumatissime. Pio-ve sui nostri volti divenuti tutt’uno con il bosco piove sulle nostre mani nude, sul nostro corpo, sui nuovi pensieri sbocciati dall’anima rinnovata, sull’illusoria favola dell’amore che ieri t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione.
Odi? La pioggia che cade sul fogliame della pineta deserta producendo un crepitio che dura e varia secondo quanto è folto il fogliame. Ascolta. Alla pioggia risponde il canto del-le cicale che non è fermato né dalla pioggia né dal colore scuro del cielo. E il pino ha un suono, e il mirto altro suono, e il ginepro altro ancora, e le gocce di pioggia sono come mi-riadi di dita che fanno suonare diversamente queste piante. Noi siamo nel più intimo della foresta, non più esseri umani ma vivi d’una vita vegetale. E il tuo volto bagnato ed ine-briato dalla gioia e le tue chiome profumano come le ginestre, o creatura originata dalla terra che hai nome Ermione.
Ascolta, ascolta. Il canto delle cicale che stanno nell’aria va diminuendo sotto la pioggia che aumenta. Ma in crescendo si mescola un canto più rauco, che sale dall’ombra scura dello stagno in lontananza. Solo una nota ancor trema, si spegne, risorge, trema, si spe-gne. Non arriva il suono delle onde sulla spiaggia. Non si sente sulle fronde degli alberi scrosciare la pioggia d’argento che purifica, lo scroscio che varia secondo i rami più folti, meno folti.
Ascolta. La cicala è muta, ma la figlia del lontano fango, la rana, canta nell’ombra più profonda, chissà dove, chissà dove. E piove sulle tue ciglia, o Ermione.
Piove sulle tue ciglia nere, che sembra tu pianga di piacere, non bianca ma quasi verde, sembri uscita dalla corteccia di un albero.
E tutta la vita è in noi fresca e odorosa, il cuore nel petto è come una pesca non ancora toccata, gli occhi tra le palpebre sono come fonti d’acqua in mezzo all’erba; i denti nelle gengive sembrano mandorle acerbe. E andiamo di cespuglio in cespuglio, ora tenendoci per mano ora separati (la ruvida e forte stretta delle erbe aggrovigliate ci blocca le ginocchia) chissà dove, chissà dove! Piove sui nostri volti divenuti tutt’uno con il bosco piove sulle nostre mani nude, sul no-stro corpo, sui nuovi pensieri sbocciati dall’anima rinnovata, sull’illusoria favola dell’amore che ieri mi illuse, che oggi ti illude, o Ermione.
Il Taci iniziale della poesia è un invito a creare l'atmosfera di silenzio e di ascolto e, attraverso questa onomatopea, le cose, viste o toccate sono ricondotte essenzialmente al loro suono Il poeta si trova a Marina di Pietrasanta con Ermione, la sua donna amata e, mentre passeggiano in una deserta pineta vicino al mare, li sorprende un fresco temporale estivo.
Le gocce, cadendo leggere sui rami e sulle foglie, creano una musica magica e orchestrale, destando odori e vita segreta nel bosco. I due amanti si inoltrano sempre più nel fitto della vegetazione e, così circondati, coinvolti e immersi da una sinfonia di suoni, profumi e sensazioni sprigionati dalla pioggia, si sentono parte viva della natura che li circonda, fino ad immedesimarsi con essa stessa e a trasformarsi in creature vegetali
Questa trasformazione inizia nella seconda strofa, ai versi 52-61, dove il poeta paragona il volto di Ermione a una foglia e i suoi capelli a una ginestra e si compie nell'ultima strofa, a partire dal verso 97, dove D'Annunzio definisce Ermione non bianca ma quasi fatta virente, cioè verde, come una pianta, e ne paragona i vari elementi del corpo ad altrettanti elementi naturali: il cuore alla pesca, gli occhi alle polle (pozzanghere) d'acqua, i denti alle mandorle.
Questa meravigliosa trasformazione, questa immersione totale del poeta e di Ermione nel paesaggio naturale che li circonda è la "favola bella". Una favola perché si tratta di un'illusione momentanea, ma bella perché questo senso di comunione perfetta con la natura è fonte di serenità e di gioia.
Commento
“La pioggia nel pineto” è una delle liriche più note di D’Annunzio. Essa appartiene alla sezione centrale della raccolta “Alcyone”, dedicata all’estate e alla celebrazione della natura come fonte di ispirazione e di sollievo per l’uomo. Qui la poesia diventa musica.
Il tema centrale della poesia è la pioggia estiva che cadendo sulla pineta deserta, vicino al mare, dà vita a una miriade di suoni. Il poeta è in compagnia della donna amata, Ermione, e la invita a tacere per ascoltare l`armonia che si leva dalla vegetazione battuta dalla pioggia. Tutti tesi a percepire ogni suono, ogni minima sensazione, i due amanti si immedesimano sempre più nel paesaggio fino a subire una "metamorfosi", fino a trasformarsi e divenire un tutt'uno con la natura.
E’ rivolta alla donna amata, Eleonora Duse, che il poeta chiama Ermione, come per rendere immortale la sua donna. Infatti Ermione (che nella realtà era l’attrice Eleonora Duse) è un nome tratto dalla mitologia greca e corrisponde alla figlia di Elena e di Menelao.
La scena si svolge in un bosco, nei pressi del litorale toscano, sotto la pioggia estiva. Il poeta passeggia con la sua donna, Ermione e la invita a stare in silenzio per sentire la musica delle gocce che cadono sul fogliame degli alberi. Inebriati dalla pioggia e dalla melodia della natura, il poeta e la sua donna si abbandonano al piacere delle sensazioni con un’adesione così totale che a poco a poco subiscono una metamorfosi fiabesca e si trasformano in creature vegetali.
La struttura musicale della poesia esprime il tipico intento decadentista di trasformare le parole in musica, e in questo caso nella musica “reale” composta dalla pioggia.
I temi dominanti della poesia sono:
Sensismo e ricerca della bellezza. Il sensismo è la ricerca di tutto ciò che proviene dai cinque sensi: il mondo deve essere conosciuto non attraverso un ragionamento razionale ma solo attraverso ciò che i nostri sensi provano vivendo determinati momenti. Per D’Annunzio questo discorso si accompagna alla ricerca della bellezza: il bello è percepito attraverso i sensi e ricercato nel pineto e in tutti i suoi elementi.
Le voci misteriose della natura. Il poeta invita Ermione a tacere e ad ascoltare la musica della pioggia. Egli è attento a cogliere le sfumature più diverse e le varie modulazioni che le gocce di pioggia producono sulle piante del bosco. A questo concerto della pioggia partecipano anche le cicale con il loro canto e le rane, il cui verso sordo e roco si spegne nell'ombra di un luogo lontano e indeterminato (il chi sa dove, chi sa dove vuole creare un'impressione di lontananza favolosa).
La metamorfosi. La sinfonia dei suoni conduce gradualmente l'uomo e la donna in una dimensione di sogno, entro la quale avvengono i riti metamorfici. Dapprima si confondono con il bosco (piove su i nostri vòlti silvani,), poi Ermione è paragonata agli elementi della natura (il volto come una foglia, le chiome come le ginestre), diventa quasi una ninfa del bosco (virente), infine si fondono entrambi con gli elementi della natura, sentendosi parte viva e integrante di essa: il cuore è come una pèsca, gli occhi sono come sorgenti, i denti sono mandorle acerbe. La lirica si chiude con la ripresa del tema della pioggia, quasi a prolungare quello stato di estasi cui sono pervenuti il poeta e la sua compagna.
Il panismo. Tale definizione deriva dal greco Pan (che è, sia il nome dell'antica divinità dei boschi, sia l'aggettivo greco indefinito tutto) ed indica la completa fusione tra l'uomo e la natura che lo circonda, l’identificazione dell'uomo con la vita vegetale. Il panismo dannunziano tende ad umanizzare la natura, a coglierne il richiamo attraverso gli organi di senso; in essa l'individuo si espande gioiosamente con una identificazione prima fisica e poi spirituale.
Durante il temporale estivo ci si immerge completamente nel paesaggio, il poeta chiede subito alla sua compagna di far silenzio (“Taci!”) per contemplare solamente i rumori dell’acqua e della natura che si trasforma intorno, sotto l’incessante picchiettare della pioggia. Ogni verso non è che un altro passo dentro questo mondo incontaminato, lontano dall’umanità, finché non ci si perde del tutto. Al termine della poesia addirittura i due protagonisti sono diventati una sola cosa con il bosco: al tema del panismo se ne collega subito un altro, quindi, cioè quello della metamorfosi –la trasformazione del corpo da una forma a un’altra- che il poeta tratta ricordando le Metamorfosi di Ovidio, poeta classico, dove i protagonisti diventavano realmente, da umani, elementi naturali come alberi o animali.
L'amore. li poeta non esprime sentimenti profondi, l'amore è sentito come un'illusione e la vita appare fuggevole. La "favola bella" illuse e continua ad illudere i due protagonisti, il loro "ieri" ed il loro "oggi" sono distinti anche se identici (t'illuse..., m'illude, m'illuse... t'illude), l'or congiunti or disciolti indica che tra loro si alterna l'unione all'estraneità dei sentimenti.
Il poeta offre un’immagine raffinatissima e suggestiva di un’atmosfera naturale espressa con una struttura frammentaria dei versi e con la ripetizione di parole e di frasi e dal susseguirsi di sensazioni uditive, visive, olfattive, tattili, ritmate dal ripetersi di due verbi chiave, “piove” e “ascolta”, in cui però le sensazioni uditive prevalgono sulle altre. La poesia, infatti, è una sinfonia musicale perché il poeta sceglie le parole non tanto per il loro significato quanto per il loro suono (caratteristica tipica del decadentismo e di D’Annunzio in particolare), per creare la suggestione di una musica.
"La pioggia nel pineto” rende l'idea di una composizione sinfonica. Il poeta, infatti, attraverso l'uso accurato della parola sembra riprodurre delle vivide sonorità, rumori che sono prodotti dallo scròscio della pioggia sulla vegetazione circostante. La pioggia che cade sul bosco crea differenti suoni in base alle piante che essa colpisce, agli effetti di eco che si generano nella pineta, all’intensità stessa della precipitazione.
La musicalità viene riprodotta anche dal canto delle cicale, dal verso di una rana nel momento in cui smette di piovere.
Molto accurata è anche la rappresentazione delle sfumature di colore attraverso la descrizione precisa della vegetazione (per esempio ricorrente è l'utilizzo del colore verde).
La poesia è divisa in quattro strofe (per un totale di 128 versi), che descrivono i vari momenti della metamorfosi: il processo che porterà lui ed Ermione a trasformarsi da uomini a vegetali. La prima tappa è quella del silenzio, fondamentale per estraniarsi dal mondo umano e percepire i suoni “non umani” della natura.
Ogni strofa termina con il nome della donna, Ermione, riferimento classico come quasi per rendere immortale la sua donna. Ermione (che nella realtà era l'attrice Eleonora Duse) è un nome tratto dalla mitologia greca e corrisponde alla figlia di Elena, moglie di Menelao e causa della guerra di Troia.
La poesia si conclude riprendendo i versi che chiudevano la prima strofa
Le rime sono libere e spesso sostituite dall’assonanza.
I versi sono di misure molto diverse (si va dal ternario al settenario, dal quinario al senario, all’ottonario, al novenario; alcune coppie di versi ricompongono poi la misura dell’endecasillabo
La poesia La pioggia nel pineto è ricca di figure retoriche tra cui
enjambement (Enjambement è una parola francese che significa "inarcatura" e consiste nella continuazione di una frase al verso successivo, annullando così la pausa di fine verso).Con l’enjambement la pausa ritmica di fine verso non coincide con una pausa logica perciò la frase si spezza a fine verso per concludersi al verso successivo.
allitterazioni (ripetizione di una stessa consonante o sillaba in parole vicine)
es: tamerici salmastre ed arse dove torna il suono della –t- e della –s-
es: d’arborea vita viventi/e il tuo volto ebro dove i suoni ripetuti sono –r- e –v-
NB: Grazie alle allitterazioni possono essere evocate diverse sensazioni condizionate dalle lettere che realizzano l'allitterazione stessa, in base a quello che si chiama fonosimbolismo (e che è in certo modo avvicinabile all'onomatopea). Ad esempio:
le consonanti dal suono secco (g, c, r) evocano una sensazione di durezza;
le consonanti dal suono dolce (v e l) evocano una sensazione di morbidezza, piacere;
la vocale a evoca un senso di ampiezza;
la vocale u evoca un senso di gravezza;
la vocale i evoca un senso di chiarezza;
la vocale e evoca un clima rasserenante.
onomatopee (figura retorica che consiste nell'imitazione parziale da parte della sequenza fonica del lemma, del suono di cui il lemma stesso esprime il significato, come ad esempio: gocciole; crepitio, crosciare il suono delle parole richiama il rumore della pioggia).
anafore (l'iterazione di "ascolta" e di "piove").
similitudini (paragoni del tipo "è molle di pioggia come una foglia").
personificazioni (La natura è descritta con termini antropomorfici: la sera si trasforma in una figura femminile, e il poeta e la sua compagna Ermione entrano estaticamente nella fisicità biologica della vita vegetale. Ermione rappresenta non solo una figura reale ma un concetto, e cioè un amore dimenticato e puro a cui tornare).
apostrofe: (dal greco apostréphein, “girare, volgere indietro”) per cui in un testo narrativo, poetico od espositivo si fa direttamente appello ad una persona o ad una cosa personificata con l'uso della seconda persona singolare. Qui il poeta si rivolge direttamente all’amata, Ermione, chiamandola più volte.
Osservazioni:
Il verbo “piove” viene ripetuto come un mantra, acquistando un valore quasi sacrale.
Da notare che l’incipit della poesia, sottolinea la necessità del silenzio (“Taci”, v. 1) e segna una “soglia” , quasi si entrasse in un’ altra dimensione. Uno dei temi della Pioggia nel pineto è infatti la trasfigurazione della parola dalla sua finalità più realistica e concreta ad una funzione “nuova” (e quindi non più umana), che ricrei, attraverso gli effetti pittorico-musicali del testo, l’esperienza di sublimazione di sé vissuta nella pineta dal poeta e da Ermione.
E’ importante sottolineare che Le “tamerici” (un arbusto tipico della vegetazione mediterranea) costituiscono un rimando a Pascoli (con cui D’Annunzio non ebbe mai ottimi rapporti), altro autore fondamentale del Decadentismo e del Simbolismo italiani. Infatti Myricae (il nome latino della pianta) è il titolo della prima raccolta poetica di Giovanni Pascoli.
Nella prima parte della descrizione della “pineta” D’Annunzio si concentra su colori ed odori del bosco; si passerà poi, nella strofe successiva, ai suoni e al ritmo della pioggia che batte.
la favola bella: si tratta delle illusioni umane, che nutrono sia il poeta che Ermione, ma da cui ora, nell’atmosfera trasognata della pineta, entrambi si stanno svincolando.
Al verso 21 chi sa dove, chi sa dove: l’indeterminatezza spaziale contribuire a creare la sensazione di fusione con la natura.
Si attua una umanizzazione della natura e una naturalizzazione dell'umano.
il tema della pioggia e la similitudine col pianto è centrale in tutta la raccolta Alcione.
Gabriele Dannunzio
I ROMANZI
Influenze culturali: Nietzsche (filosofo), Wagner (musicista) Leonardo Da Vinci (pittore, inventore)
Temi: estetismo, dandismo, culto della sensualità e bellezza, superomismo, ottica trasgressiva e antiborghese, ideologia antidemocratica (disprezzo delle masse e della borghesia) e antireligiosa, disprezzo di ogni regola morale e norma sociale, nazionalismo (l’Italia si deve salvare dalla mediocrità), tema della morte che aleggia.
A livello di trama i romanzi sono abbastanza fragili. L’aspetto importante è il personaggio che rappresenta una sorta di manifesto per l’estetismo ( nel Piacere) e il superomismo (in Le vergini delle rocce)
Sull'esempio dei romanzi ciclici dell'ottocento di Honorè de Balzac (La commedia umana), di Zola (i Rougon-Macquart), di Verga (I vinti), D'Annunzio si propose di scrivere un ciclo di romanzi, suddiviso in tre trilogie, ciascuna denominata da un fiore (la rosa, il giglio, il melograno), simbolo delle tappe evolutive del suo spirito dalla schiavitù delle passioni alla vittoria su di esse.
I protagonisti dei romanzi non sono che la proiezione sul piano narrativo dello stesso D'Annunzio.
1) Il ciclo della Rosa (tra cui il piacere) con il tema della voluttà, della passione invincibile comprende:
Il Piacere (1889) L'innocente (1892) Il trionfo della morte (1894)
Il piacere – protagonista Andrea Sperelli
Nel 1889 esce Il piacere, il primo romanzo di Dannunzio, di gusto simbolista – estetizzante, decadente.
Ambientato in una Roma elegante e frivola, propone un eroe contemporaneo, un esteta aristocratico, letterato e uomo di mondo, Andrea Sperelli.
Andrea Sperelli è un dandy (Oscar Wilde) intellettuale e finissimo poeta immerso nella vita mondana di Roma. Egli è diviso tra due relazioni amorose:
con la bellissima, ex amante, Elena Muti, ricomparsa in città sposata con un Lord inglese dopo averlo abbandonato d’improvviso più di un anno prima;
con la pura e spirituale Maria Ferres, moglie di un ministro del Guatemala (un tocco di esotismo!).
L’attrazione verso le due donne antitetiche (Elena rappresenta l’eros corrotto e fatale; Maria la dedizione nobile e dolce) tormenta Andrea che in un suo perverso gioco mentale, ingannando entrambe le donne, tenta di intrecciare i due amori, per crearne un terzo, immaginario e perfetto.
La vicenda si colloca in prevalenza in una Roma aristocratica e snob. Andrea alterna cinicamente le due relazioni finché al culmine di un incontro erotico con Maria (perdutamente innamorata di lui, ma costretta a lasciare Roma perché il marito è stato scoperto mentre barava al gioco) la chiama inavvertitamente con il nome di Elena, facendole intuire la sua finzione.
L’intreccio erotico è scandaloso e drammatico, lo stile è prezioso, con abbondanza di forme arcaiche e con continui effetti lirici.
Il lavoro di D’Annunzio è sempre “a mosaico”, con l’intreccio di materiali disparati: per la descrizione della Roma salottiera, aristocratica e altoborghese, sfrutta molto spesso i pezzi della propria collaborazione giornalistica alla “Tribuna” di Roma; allo stesso modo reimpiega anche frasi ed espressioni delle lettere spedite a Barbara Leoni (uno dei suoi grandi amori).
L’innocente – protagonista Tullio Hermil
Il secondo romanzo della trilogia, pubblicato nel 1892, mescola l'estetismo romano con influssi della lettura dello scrittore russo Dostoevskij. È una narrazione in prima persona ed è incentrato sulle vicende di Tullio Hermil e della moglie Giuliana
Tullio Hermil, ex diplomatico e ricco proprietario terriero, è da sette anni marito di Giuliana, dalla quale ha avuto due figlie. Uomo dai gusti raffinati e privo di moralità, ha un temperamento inquieto e sensuale e tradisce la moglie continuamente. Una grave malattia di Giuliana sembra riavvicinarlo a lei, ma è un'illusione. Quando poi, veramente pentito, Tullio torna da lei, deve apprendere che la donna lo ha tradito a sua volta e aspetta un figlio dallo scrittore Filippo Arborio; il protagonista comincia a nutrire odio verso "quel figlio non suo", sin da quando il bambino è ancora in grembo alla madre. Il nascituro viene visto dai due come un elemento di disturbo del loro improbabile amore.
Ma la gravidanza è difficile e i coniugi sperano che il bimbo muoia prima di venire alla luce, oppure lo uccideranno loro stessi, sollevandosi da un grave problema. Venuto al mondo l'innocente, Giuliana si fa silenziosa complice del piano disumano del marito. Tullio, approfittando della breve assenza della governante, espone il bambino , l'"innocente", al gelo di una notte natalizia. Questo ovviamente si ammala e muore poco dopo, fra la disperazione dei parenti e dei servitori.
«Io credevo che per me potesse tradursi in realtà il sogno di tutti gli uomini intellettuali: - essere costantemente infedele a una donna costantemente fedele.»(Gabriele D'Annunzio, L'innocente)
Il Trionfo della morte – protagonista Giorgio Aurispa
Romanzo del 1894, terzo del "Ciclo della rosa". L'opera, articolata in sei "libri", ha una struttura narrativa debole. È incentrata sul rapporto contraddittorio e ambiguo di Giorgio Aurispa con l'amante Ippolita Sanzio. Giorgio, in una confusa contaminazione tra superomismo e velleità mistiche, aspira a realizzare una vita nuova, una perfezione di vita spirituale che si fondi sull'autodominio e sull'autosufficienza, e vive il rapporto con l'amante come limitazione, come ostacolo.
Il terzo libro della trilogia è di grande importanza, in quanto mostra l'avvicinamento dannunziano al filosofo Friedrich Nietzsche, e al tema del "superomismo", di cui d'Annunzio creerà una creatura "superomista" del tutto legata al carattere letterario e al decadentismo, ovviamente. La vicenda è ambientata brevemente a Roma, durante una scena di suicidio, poi definitivamente in Abruzzo, presso Guardiagrele. Nel borgo montano giunge il nobile Giorgio Aurispa, messo in crisi dalla visione della morte. La sua ricca famiglia è in decadenza, perché suo padre sta sperperando gli ultimi averi con prostitute, e il resto della famiglia vive in miseria. L'unica persona a cui Giorgio è affezionato è lo zio, che però muore suicida.
Giorgio, esasperato dalla dura vita di paese, e dalla orripilante presenza di superstizione di streghe e di malocchi, fugge a San Vito Chietino, al mare, affittando una villetta sul litorale dei cosiddetti "trabocchi", ossia macchine da pesca in legno assai popolari. Giorgio contatta anche la sua amata Ippolita Sanzio, pregandola di consolarlo da Roma. Mentre Giorgio si tuffa nella lettura dello Zarathustra di Nietzsche, scoprendo un mondo nuovo, Ippolita si affascina alle superstizioni abruzzesi riguardo alla stregoneria e al malocchio, vedendo la morte di un bambino per affogamento e quella di un infante, che si dice essere stato risucchiato nell'anima da una maga. Giorgio spera di redimersi dalla "maledizione della morte" andando in pellegrinaggio nella vicina Casalbordino, al santuario della Madonna dei Miracoli, ma vede soltanto uno spettacolo raccapricciante di infermi e moribondi che chiedono invano grazia alla Vergine. Sconsolato, decide il suicidio con la fidanzata. I temi del romanzo, oltre a confermare l'autorità del superuomo dannunziano esteta e poeta, mostrano anche l'aspetto debole di questa figura: un uomo acculturato che però vive in una società corrotta e dissoluta, ossia la borghesia italiana emergente, e la massificazione sociale con la costruzione delle fabbriche. La cosiddetta "fiumana del progresso" verghiana. L'esteta non può far altro che reagire con l'isolamento in un luogo sicuro, stando a contatto con la natura. Nel caso però del Trionfo della morte, Giorgio incontra la plebe orrorifica e gli aspetti "soprannaturali" delle leggende abruzzesi, che lo sconfiggono. Complice della sconfitta è la stessa amante del protagonista, che rimane attratta da tali pratiche superstiziose. Il libro è tratto da un fatto veramente vissuto dallo stesso d'Annunzio nel 1899 a San Vito, in presenza della sua amata Barbara Leoni. Oggi esiste ancora la villetta affittata dal poeta sul cosiddetto "eremo dannunziano" nel cuore della costa dei Trabocchi. Anche l'episodio macabro del pellegrinaggio a Casalbordino è minuziosamente documentato dal poeta nelle lettere inviate nell'estate dell'89 a Barbara a Roma.
2) Il ciclo del Giglio, con il tema del superuomo. Il giglio è il fiore simbolo del superuomo, della passione che si purifica. Troviamo il tema del superomismo intrecciato al tema dell’estetismo.
Le Vergini delle rocce - protagonista Claudio Cantelmo
Dei tre romanzi previsti, D'Annunzio scrisse solo il primo: Le vergini delle rocce (1896) -.
Le vergini delle rocce, romanzo di Gabriele D'Annunzio, prende il titolo da un celebre dipinto di Leonardo da Vinci.
Ecco, ad esempio, l’incipit del primo capitolo del libro: Non si può avere maggior signoria che quella di sé medesimo - Leonardo da Vinci.
Dopo il periodo trascorso a Napoli dal 1891 al 1893, in cui lo scrittore approfondisce la conoscenza del pensiero di Nietzsche e Wagner (veri e propri capisaldi della sua ideologia ed estetica dannunziana di quegli anni), l’autore del Piacere porta a compimento un nuovo romanzo “a tesi”, Le vergini delle rocce , che, recuperando (e in parte distorcendo) la teoria del “superuomo”, crea una nuova proiezione biografica dello scrittore.
Claudio Cantelmo, aristocratico e imperialista, seguace delle dottrine del superuomo, concepisce il disegno di unirsi in matrimonio con una delle principesse (Massimilla, Anatolia, Violante) di un'antica famiglia borbonica del regno delle due Sicilie, i Capece-Montaga, ridottasi a vivere nell'ultimo dei suoi feudi, Trigento, "paese di rocce". Scopo del matrimonio è procreare il futuro sovrano, al quale un giorno il popolo, disgustato della demagogia e dalla corruzione della vita politica, offrirà la corona regale.
Il protagonista, come in molti altri casi in D’Annunzio, è vittima del suo stesso desiderio; indeciso tra le tre, rifiutato da Anatolia ed indirizzato da lei stessa a sposare la sorella Violante, Cantelmo non svela nel finale del romanzo su chi ricadrà la sua scelta.
Dopo una lettura abbastanza superficiale dell’Also sprach Zarathustra (Così parlò Zarathustra, 1883-1884) del filosofo tedesco Nietzsche, D’Annunzio fa del protagonista del nuovo romanzo, Claudio Cantelmo, l’emblema del rifiuto radicale (con una forte presa emotiva sul pubblico medio) di tutti i gusti, le convenzioni, i valori borghesi, di cui egli avverte ormai l’esaurimento interno. Prevale l’individualismo assoluto e totalizzante di un “io” che rifiuta il confronto con il mondo quotidiano, cui sostituisce l’imposizione volitiva della sua personalità superiore.
Claudio è un aristocratico, ultimo esponente di una famiglia eletta, disgustato dalla mediocrità che vede attorno a sé e al tempo stesso desideroso di imprimere una svolta all’intera nazione italiana; così, dopo aver conosciuto tre “vergini inquiete” e sorelle (Massimilla, Anatolia, Violante), egli concepisce il progetto per cui sarà suo figlio (ovviamente partorito dalla più degna delle tre) a rivoluzionare quel “grigio diluvio democratico odierno” contro cui già polemizzava Andrea Sperelli nel Piacere. Il restauro dei valori classico-nobiliari (la forza, l’onore, la capacità di guidare imperiosamente il popolo di sangue “latino”) impone che Claudio abbandoni Roma, città devastata dai vizi, e si ritiri in campagna, dove appunto si trovano le tre donne, figlie di un principe borbonico e simboleggianti rispettivamente la passione sensuale (Violante), la purezza spirituale (Massimilla), il culto dei valori familiari (Anatolia).
Per realizzare tale progetto di una nuova e superiore umanità, Cantelmo si sottopone ad uno specifico percorso di formazione, in cui si convergono tutti gli interessi dannunziani. Lo stile ricercato e prezioso del romanzo (che in certe pagine diviene quasi lirico e sinfonico, con forti suggestioni della wagneriana “opera d’arte totale”) traduce nella vita “inimitabile” del protagonista i precetti e le suggestioni della filosofia nietzschiana, quale quello della “libertà negativa”, in cui è il principio apollineo dell’esistenza (e cioè, l’ordine e l’armonia) a prevalere su quello dionisiaco (rappresentate del caos e dell’istintualità della vita).
Nota Bene: In verità Nietzsche non auspicava l'avvento di un uomo superiore agli altri, al quale, in grazia delle qualità eccezionali, fosse tutto permesso, ma l'avvento di un'umanità rinnovata la quale, per poter sviluppare tutte le sue potenzialità, doveva liberarsi da ogni soggezione alla trascendenza e alla morale tradizionale, fatta di ipocrisie e finzioni. D'Annunzio ignorò o finse di ignorare il significato profondo del Nietzche e lo adottò al suo temperamento sensuale, facendo del superuomo l'individuo d'eccezione, destinato a dominare sugli altri. Nel superuomo nicciano, così come lo immaginò D'Annunzio, s'intravede piuttosto il profilo dei grandi dittatori sanguinari e deliranti del nostro secolo, col loro macabro seguito di tragedie e di guerre.
3) Il ciclo del Melagrano con il tema della bellezza (estetismo), frutto dai molti granelli, simbolo dei frutti che possono derivare dal dominio delle passioni.
Anche dei romanzi del melograno, D'Annunzio scrisse solo il primo, Il fuoco (1900).
Il fuoco: protagonista Stelio Effrena
Questo romanzo, così intitolato perché il fuoco è inteso come il simbolo della creatività dell'artefice.
Il personaggio principale è Stelio Effrena, poeta giovane e geniale. L'azione si svolge a Venezia, nell'autunno del 1882. Il cognome del protagonista ha un significato: dal latino "Ex frenis", ovvero "senza freni".
Narra, sullo sfondo di Venezia, la storia dell'amore di Stelio Éffrena per la Foscarina un'attrice celebre. La Foscarina è una bella donna, anche se non è più giovane, e ama Stelio perdutamente.
Stelio è un poeta che sogna una nuova forma di arte drammatica, che risulti dall'intima fusione della parola, del colore, del suono, dell'azione. E' la stessa poetica di Wagner, che del romanzo è un personaggio. La Foscarina dovrebbe essere l'interprete di questo nuovo dramma; ma Stelio s'innamora della giovinetta Donatella Arvale. La Foscarina se ne accorge e ne è gelosa, ma dopo, rassegnata, cede il posto alla rivale e si accomiata da Stelio.
E’ un romanzo autobiografico. L'autore, il titolo, la storia e le indiscrezioni che hanno preceduto la pubblicazione, tutto concorre a far pensare che le pagine del romanzo raccontino l'amore di cui tutti all'epoca parlavano. L'amore tra l'uomo e la donna allora più famosi: D'Annunzio ed Eleonora Duse.
Fuori dalla trilogia, fra il primo e il secondo ciclo Dannunzio scrive un romanzo intitolato Giovanni Episcopo (1892) chiaramente influenzato dalla lettura dello scrittore russo Dostoevskji
Giovanni Episcopo - personaggi principali Giovanni Episcopo e Giulio Wanzer
Giovanni Episcopo è un impiegato che conduce una vita mediocre e, dopo il lavoro, cerca di svagarsi coi suoi colleghi cenando tutte le sere nella medesima pensione. Lì conosce una cameriera giovane e piacente, Ginevra, di cui si invaghisce e che poi sposerà.
Intanto, un suo collega, Giulio Wanzer, di cui Episcopo subiva il fascino in quanto persona risoluta e aggressiva, l'opposto del suo carattere, aveva sottratto dei soldi dalla Tesoreria ed era scappato in Argentina.
Passati pochi giorni dal matrimonio, Ginevra comincia a mutare carattere e diventa più crudele e scostante col marito. Giovanni pensa di poter ancora salvare il matrimonio in seguito alla nascita di un figlio, ma la speranza risulta vana. Per i problemi familiari, egli trascurerà i suoi doveri in ufficio e, dopo qualche ammonizione, verrà licenziato.
Egli, così, inizierà ad affogare le sue frustrazioni nel vino, ed una sera, quando il suo vecchio amico Wanzer busserà alla porta e si installerà in casa sua, succube della sua personalità, non riuscirà a muovere un dito. La misura sarà colma solo quando Wanzer alzerà le mani sulla moglie e sul figlio: Giovanni prenderà un coltello dalla cucina e ucciderà l'intruso.
Con questo romanzo, D'Annunzio si avvicina al romanzo russo di Dostoevskij, nel tentativo di analizzare un crimine nella sua crudezza, senza alcuna trasposizione letteraria. Lo scrittore abbandona la terza persona e narra la vicenda dall'io del protagonista che, come in una lunga confessione, racconta i motivi delle sue azioni, fino alla tragica conclusione.
Con lo scorrere delle vicende, il romanzo acquista un ritmo verticale tipico del romanzo realistico russo, ma anche di quello realista e naturalista francese alla maniera di Zola e Flaubert, ripreso da Giovanni Verga ed i veristi in Italia. Il protagonista scende tutti i gradini della degradazione umana e sociale fino a toccare il fondo tragico della vicenda.
Altro romanzo che non fa parte delle trilogie è Forse che sì forse che no – (1910)
protagonista Paolo Tarsis
D'Annunzio diede al romanzo questo titolo perché rimase affascinato dalla lettura di questa frase sul soffitto del Palazzo Ducale di Mantova, durante una sua visita del 1907.
In questo romanzo Dannunzio abbandona il tema dell'esteta decadente, per allacciarsi alla nuova corrente novecentesca del futurismo. D'Annunzio mescola il suo stile tipico alla nuova protagonista del secolo: l'automobile e l'aeroplano.
Nella storia il nobile Paolo Tarsis è innamorato di Isabella, con cui fa visita a Mantova al Palazzo Gonzaga, sede degli Estensi, famiglia ricca da cui discende lo stesso protagonista. Nel frattempo però Isabella è segretamente innamorata del fratello Aldo, e quando di scopre l'incesto, ella si uccide folle di dolore. Paolo deicide di suicidarsi compiendo un gesto folle: arrivare in aeroplano fino alla Sardegna. Contro il suo volere, Paolo riesce nell'impresa e involontariamente è acclamato come eroe.
Il protagonista Paolo Tarsis realizza la sua volontà eroica tramite le sue imprese di volo. Egli è senza dubbio la reincarnazione dei vari superuomini presenti ne Il Trionfo della Morte o nelle Vergini delle rocce, ma a differenza di questi, non appartiene ad una nobile casata ma è un borghese estraneo agli influssi decadenti e dedito all'azione. Affiancata a questo superuomo troviamo Isabella Inghirami, la prima figura femminile capace di contendere il primato all'egotismo del superuomo di turno. Tra i due personaggi c'è un rapporto di amore-passione che talvolta arriva fino alle degenerazioni dell'incesto e del masochismo. Questo romanzo rappresenta la piena adesione di D'Annunzio alla contemporaneità: è possibile infatti ritrovare personaggi che si muovono tra aeroplani, automobili, telefoni. Vi si ritrova un amore, quindi, per la macchina e la velocità.
Osservazioni:
Nella prefazione al romanzo breve Giovanni Episcopo D’Annunzio scrive: ”O rinnovarsi o morire!”. Queste parole possono valere come il manifesto della sua intera carriera, distinta da un continuo “rinnovamento” di forme, temi , modi, presente contemporaneamente in prosa e in poesia, gestite sempre in parallelo.
D’Annunzio è lo scrittore italiano più sensibile alla cultura simbolista e decadente europea. Da ciò gli derivano sia l’attenzione al simbolo nascosto sotto il reale e alle segrete “corrispondenze“ (per usare il termine baudelariano); sia il potere attribuito all’arte e alla parola, che egli giudica un esercizio di “veggenza” quasi magicamente divinatoria.
D’Annunzio si distingue per lo stile fastoso, aulico e musicale. Egli cerca la vistosità della parola.
I suoi testi di riferimento sono molteplici: dai testi letterari classici a quelli contemporanei, specialmente stranieri
Da questi modelli D’Annunzio ricava molto spesso spunti, persino sfacciatamente. Tale aspetto fu colto dai contemporanei, che lo accusarono di plagio.
Tecnicamente, non va dimenticata la sapienza metrica e ritmica, che consentì a D’Annunzio di arrivare a soluzioni brillanti, come l’invenzione della “ strofa lunga”.
Nelle opere d’esordio sono ravvisabili i modelli di Carducci, ma il Carducci delle Odi barbare, e di Verga.
In seguito sarà attentissimo alle novità europee, soprattutto di carattere simbolista-decadente.
Nel decennio 1880-90 si diffonde in Francia la conoscenza del romanzo russo ottocentesco ed anch’egli ne subirà il fascino. L’avvicinamento ai narratori russi significa per lui l’appropriazione di nuove tematiche intime:
- da un lato la bontà e la pietà sorrette da una potente spinta religiosa e cristiana (secondo il modello di Tolstoj);
- dall’altro l’ossessivo conflitto psicologico, con lo scavo tra patologie e alterazioni mentali