Giovanni Verga

Giovanni verga è il massimo esponente del verismo, di cui fu anche uno dei teorici.

Verga fece suo il naturalismo; inventò una scrittura nuda e crudele, capace di rappresentare il destino amaro di uomini falliti. I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo sono i romanzi più belli di fine secolo.

 

Nato da a Catania nel 1840 da una famiglia che apparteneva alla piccola nobiltà. Nel 1858 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza; all'arrivo di Garibaldi (1860) si arruolò nella Guardia nazionale e rimase in servizio fino al 1864.

 

In quegli anni scrisse e pubblicò alcuni romanzi di contenuto patriottico (I carbonari della montagna, 1861-62; Sulle lagune, 1863) e collaborò con numerose riviste politiche e letterarie.

 

Nel 1865 compì il primo viaggio a Firenze, allora capitale d'Italia, restando affascinato dal mondo intellettuale della città. Vi tornò più stabilmente nel 1869, dopo aver pubblicato il romanzo Una peccatrice (1866) e averne preparato un secondo: Storia di una capinera (1871).

 

Dal 1872 si trasferì a Milano. L'incontro più significativo fu quello con il siciliano Capuana, che gli fece conoscere il naturalismo degli scrittori francesi Flaubert e Zola.

Pubblicato un terzo romanzo, Eva (1873), Verga continuò una produzione connotata da due tendenze antitetiche: scrisse un bozzetto di forte impronta naturalista e di ambientazione siciliana (Nedda, 1874) e contemporaneamente approntò due romanzi dai toni tardoromantici, con tematiche proprie del mondo elegante dei salotti aristocratici e borghesi: Tigre reale (1875) ed Eros (1875).

Il suo interesse si era ormai orientato verso la poetica del vero, mutuata dagli scrittori francesi: dall'intensa riflessione teorica e dal recupero nella memoria di temi siciliani nacquero le raccolte di novelle Vita dei campi (1880), Novelle rusticane (1883) e il romanzo I Malavoglia (1881), il primo del ciclo intitolato IL CICLO DEI VINTI.

 

Queste grandi opere sia per la novità dell'argomento, accentuata dalla sostanziale marginalità dell'ambiente rappresentato, sia per l'originalità dell'impostazione linguistica, molto distante dalla tradizione manzoniana, non ottennero il successo che avrebbero meritato. Per questo motivo, oltre che per sopravvenute difficoltà economiche, lo scrittore non trascurò del tutto la narrativa di ambiente non siciliano e pubblicò il romanzo Il marito di Elena (1882) e le novelle milanesi Per le vie (1883).

Nel 1884 ottenne un grande successo con la versione teatrale della novella Cavalleria rusticana, andata in scena a Torino per interessamento di Giacosa. Ritrovato l'entusiasmo, egli tornò a dedicarsi alle novelle di ambiente siciliano (Vagabondaggio, 1887) e soprattutto alla stesura di un romanzo già iniziato verso il 1883 e mai compiuto, il Mastro-don Gesualdo (1889), che fu ben accolto dai lettori.

Seguirono altre due raccolte di novelle, I ricordi del capitano d'Arce (1891) e Don Candeloro e C.i (1894). Nel frattempo aveva ottenuto un trionfo la versione musicale della Cavalleria rusticana, opera di Mascagni (la prima è del 1890): Verga, di nuovo in ristrettezze economiche, fece causa al compositore e all'editore Sonzogno, ottenendo (1893) un sostanzioso risarcimento, che gli consentì di vivere agiatamente per il resto dei suoi giorni.

 

Nel 1893 tornò in Sicilia e si occupò con continuità soprattutto di teatro, per cui compose tra l'altro i drammi La lupa (1896), La caccia al lupo (1901), La caccia alla volpe (1901) e soprattutto Dal tuo al mio (1903), in cui viene presentata una tematica sociale di notevole intensità e modernità. Per circa vent'anni, fino alla morte avvenuta a Catania nel 1922, scomparve dalla ribalta letteraria.

 

 

La teoria dell'impersonalità

 

La posizione di Verga nell'ambito delle poetiche del vero è il metodo dell'"impersonalità", lasciare che sia il "fatto nudo e schietto", e non le valutazioni dell'autore, il centro della narrazione, come scrive nella premessa alla novella L'amante di Gramigna. Su questa impostazione Verga sviluppò in particolare la parte più alta della sua produzione novellistica.

La Vita dei campi è caratterizzata dalla presenza di indimenticabili personaggi dominati da una tragica condizione di violenza, in cui si frantumano i diversi aspetti della vita: essa diviene brutalità nei rapporti umani (Rosso Malpelo), crudeltà nella vita sociale (Jeli il pastore), disperazione nel conflitto dei sentimenti (Cavalleria rusticana), tragica oppressione delle pulsioni naturali del sesso e della psiche (La lupa e L'amante di Gramigna).

 

Le Novelle rusticane invece prediligono quadri d'assieme, segnati da un immutabile destino di sconfitta sia nel confronto con la natura (Malaria), sia in quello con la storia (Libertà; Cos'è il re). Dominano la morte e il fattore economico, che in questo contesto acquista un aspetto particolare, di mezzo per la sopravvivenza e di idolo del possesso (Pane nero; La roba), assumendo in un caso e nell'altro un significato più importante della vita stessa.

 

 

Il ciclo dei vinti 

Da Zola Verga ricavò, oltre ai principi generali del romanzo sperimentale, la concezione di origine darwiniana del "ciclo", inteso come susseguirsi di romanzi che, riguardando gli stessi personaggi o i loro discendenti, permettono di cogliere le costanti e le modificazioni di comportamento in relazione al mutare dell'ambiente sociale.

Nella prefazione ai Malavoglia Verga definisce la tesi generale e le articolazioni del "ciclo dei vinti", che egli definisce "una specie di fantasmagoria della lotta per la vita".

 

Secondo il progetto, il ciclo avrebbe dovuto essere composto da cinque romanzi (I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, La duchessa di Leyra, L'onorevole Scipioni, L'uomo di lusso), attraverso cui l'autore avrebbe descritto la lotta per l'affermazione in tutte le classi sociali, dalle più umili alle più elevate. L'idea base era che i protagonisti pagassero il loro tentativo di modificare la propria condizione sociale con una sconfitta irreparabile. Con un corollario: il mutamento, e non solo della struttura sociale, ma anche dei rapporti interpersonali, risulta impossibile; la delusione che ne deriva è una vera e propria vendetta della colpa.

 

I Malavoglia narrano le vicende di una famiglia di pescatori di Aci Trezza, guidata con polso fermo da padron 'Ntoni, il nonno, che, sullo sfondo di un'Italia appena unificata, affronta il drammatico passaggio dai valori di un mondo arcaico alla sfuggente realtà del presente. Il romanzo si costruisce attorno al fondamentale concetto dell'"ideale dell'ostrica", cioè la necessità per chi appartiene alla fascia dei deboli di rimanere abbarbicato ai valori della famiglia, al lavoro, alle tradizioni ataviche, per evitare allora che il mondo, il "pesce vorace", lo divori.

I Malavoglia si fondano sulla coralità dell'oggetto della narrazione e delle modalità attraverso cui essa avviene. La voce narrante diventa collettiva, fa largo uso dei proverbi e dei modi di dire, avvalendosi spesso dello "stile indiretto libero", attraverso cui la voce di un personaggio si fonde senza difficoltà né resistenze sintattiche con quella di altri, secondo una totale continuità comunicativa.

La scelta linguistica evidenzia lo scontro ideologico campagna-città, civiltà contadina-civiltà borghese, aggravato dallo scontro tra le generazioni (la paziente ed epica lotta del vecchio padron 'Ntoni con l'insofferenza e la spregiudicatezza del giovane 'Ntoni).

 

 

Il secondo romanzo, Mastro-don Gesualdo, celebra invece il mito della "roba" e al tempo stesso l'impossibilità di trasformare la ricchezza accumulata in una completa promozione sociale. Mastro-don Gesualdo è il romanzo dell'uomo solo, che tenta di emergere nonostante le resistenze sorde o esplicite della società contadina da cui proviene, che lo rifiuta per il suo modo di vivere così diverso dalla tradizionale rassegnazione, e di quella nobiliare, che non gli permette di introdursi in un mondo in cui ha valore la nascita e non l'agire. Un tentativo troppo grande per non fallire. Così come il protagonista è solo nella sua lotta, la lingua della narrazione perde il colore della coralità e assume un carattere teso, a volte contratto, in cui l'apporto dialettale assume spesso una valenza gergale e amara, per esprimere un quadro in cui domina il cupo pessimismo dell'immobilità.

 

 

Il terzo romanzo, La duchessa di Leyra, avrebbe dovuto trattare delle vicende della figlia di Mastro-don Gesualdo, ma l'autore non ebbe la forza per concludere il ciclo dei vinti.

 

VERISMO

Movimento letterario italiano della seconda metà dell’Ottocento, il verismo porta in primo piano la tensione degli scrittori per una maggiore aderenza alla realtà sociale del tempo. I veristi rappresentano situazioni regionali fatte di povertà, miseria, sfruttamento. I loro personaggi sono contadini, pescatori, minatori: insomma, umili lavoratori di cui si cerca di rendere l’universo psicologico e linguistico

Capuana, Verga, De Roberto ( sfiducia di risolvere la crisi del sud, mondo contadino, ritrae il vero delle campagne, autonomia dell’arte, bozzetto novella breve.) I temi sono personaggi umili e il linguaggio è più vicino al parlato, Verga sa ritrarre gli umili, facendo parlare le cose.)

 

Il Decadentismo si esprime anche attraverso il SIMBOLISMO che approfondiva la ricerca stilistica, ovvero nuove tecniche come la sinestesia e la analogia.  Arte come bellezza ( Pascoli e D’Annunzio) e arte come conoscenza ( Svevo e Pirandello).

Con il Simbolismo viene analizzata la realtà più segreta valorizzando l’intuizione e non la ragione. Venne introdotto da Baudelaire con l’opera “I fiori del male” 

 

Differenza soggettivo e oggettivo:

Oggettivo: percezione della realtà individuale;

Soggettivo: visione indipendente dai pensieri e dalle emozioni personali.

 

 

 

Giovanni Verga

 

 Giovanni Verga nasce nel 1840 a Vizzini e a muore nel 1922 a Catania.

 

Nei romanzi giovanili, amori tormentati e aristocratici. Nelle opere veriste, tormento della “roba”. Nel Mastro-don-Gesualdo rappresenta la solitudine e la decadenza di un “vinto”.

 

Il capolavoro fu il romanzo I Malavoglia che raggruppa delle reali condizioni di vita dei pescatori italiani. Verga, non usa il dialetto ma una specie di “italiano dialettizzato” una creazione di grande fascino e originalità. Nel 1874  Verga scrive Nedda: un bozzetto siciliano, ambientata in Sicilia. Nel 1880 escono in volume le novelle veriste di Vita dei campi.

 

I Malavoglia è di 1° livello, il più basso, pescatori analfabeti ( personaggi primitivi, fatti e cose in primo piano, pensieri e parole riferibili a cose e fatti concreti) oggettivismo (impersonalità, terza persona)

 

e Mastro Don Gesualdo 2° livello, il muratore arricchito ( personaggi più evoluti, non solo fatti ma anche giudizi e intenzioni) soggettivismo ( romanzo psicologico e monologo interiore).

 

 

 

Novella “Libertà”: Per le vie del paese la folla grida "Viva la libertà", si ritrova davanti al municipio, in piazza, sugli scalini della chiesa armata di scudi e di falci.
Vengono uccisi preti, notai, molti galantuomini, ma anche i loro figli perché si dice, che un giorno sarebbero diventati come i loro genitori, donne nobili come la baronessa con i suoi tre figli.

 

Alla sera, finiti i tumulti, tutti rientrano nelle proprie case pensando a come spartirsi le ricchezze dei galantuomini, ma senza sapere come fare perchè non c’erano più notai per misurare i terreni o dividerli.
Non si poteva più dire messa perchè non c'erano più preti, tutti guardavano il proprio vicino per intuire quante morti aveva sulla coscienza e si viveva nell'attesa di qualcosa.
Il giorno dopo arriva il generale a far giustizia, subito vengono fucilate 4 o 5 persone, dopo arrivano anche i giudici che, presi i colpevoli, li conducono in città per un processo che dura tre anni. Madri e mogli per un po' si recano in città per seguire i loro cari, ma poi tornano al paese e tutto sembra tornare come prima. Gli arrestati vengono condannati per il massacro, senza capire cos'hanno fatto di male e chiedendosi quale colpa hanno commesso.

 

 

 

Novella “Rosso Malpelo”:

 

Rosso Malpelo è un ragazzo che lavora in una cava di rena. Poiché ha i capelli rossi, è ritenuto malvagio e tiranneggiato da tutti. All’inizio è protetto dal padre, ma, quando questo muore in un incidente di lavoro, resta solo e indifeso, anche perché la madre, restata vedova, e la sorella si sposano. Rosso assimila la violenza che subisce e cerca di insegnarne la lezione anche all’unico amico che abbia, un ragazzo sciancato, Ranocchio. Quando anche costui muore, accetta di visitare un tratto inesplorato della galleria e vi si perde per sempre.

 

 

Nel romanzo “I Malavoglia”  narra le disgrazie di una famiglia quasi come se fosse quella più disgraziata del mondo. È un aspetto questo che va inserito in un contesto, quello di Trezza, che agevola il susseguirsi di sventure, con la sua politica chiusa, da cui non si riesce ad uscire. Si è detto all'inizio che i Malavoglia sono al centro del romanzo, ma ai lati si trova il popolo, che è comunque da considerare, che fa parte di Trezza e del suo modo di vivere, della sua mentalità, dei suoi ideali. Come ideali, ad esempio, troviamo l'attaccamento alla roba, cioè i beni materiali che la famiglia deve possedere per poter vivere dignitosamente, e che all'inizio i Malavoglia avevano, quel tanto che basta per vivere. Poi l'hanno perduta con quel carico di lupini, frutto di una speculazione attuata da Padron 'Ntoni, che, così facendo, ha avviato la disgrazia della famiglia. In questo frangente il vecchio patriarca è andato contro alle sue idee, di non tentare mai la fortuna, di sopportare passivamente, e di "fare solo il mestiere che sai" (era molto attaccato ai proverbi), e per questo ha pagato caro. Quando seppe della tragedia sembrava quasi più disperato per i lupini che per il figlio Bastianazzo morto in mare. Ancora, era sempre un galantuomo, e quando, dovendo pagare il debito a Zio Crocifisso, ben sapendo che difficilmente ci sarebbe riuscito, ci prova, e con sé porta tutta la famiglia. Oltretutto ho notato che in questo romanzo, è nettamente presente il pessimismo di Verga: la fine del libro "con quell'incondizionata accettazione di una tradizione e di un costume secolari che implica una condanna di ogni volontà di ribellione... (Romano Luperini)" è un ritorno all'inizio, magari anche un po' peggiorato, senza possibilità di progresso.
Questo è anche in parte confermato dal fatto che, sempre secondo me, Verga voglia portare la famiglia al risanamento economico finale, ma non ci riesca bene per via della quasi esagerata situazione di Aci Trezza; in pratica prima ha portato i Malavoglia nella disgrazia più nera, senza possibilità di risollevarsi, poi, come in TV, come per miracolo quasi tutto si aggiusta, eccetto Padron 'Ntoni che muore, non beneficiando di questo risanamento, come alcuni componenti della famiglia, ma degli altri, di quelli "sopravvissuti" non se ne sa niente