Giovanni Pascoli
Giovanni Pascoli nasce a S. Mauro di Romagna nel 1855, nel 1862 entra nel prestigioso collegio dei Padri Scalopi a Urbino, da dove porterà avanti i primi studi, sino all’anno 1871.
Nel 1867 morirà il padre Ruggero, assassinato nella sua carrozza, sulla strada del ritorno verso casa. Mai scoperti gli autori di tale reato, solo alcune supposizioni. Il padre rivestiva l’ambita carica di amministratore dei beni dei principi di Torlonia.
Questo evento lascerà un segno indelebile nel pensiero pascoliano, andando ad influenzare inevitabilmente tutta la produzione del poeta. Di lì a poco succederà la morte della madre, accompagnata da quella dei due fratelli e di una sorella: Pascoli uscirà dal lutto familiare accompagnato dalle sole due sorelle, Ida e Maria.
Il poeta tenterà così di ripristinare la parvenza di una famiglia e, a conclusione della sua carriera di insegnate, si ritirerà a vivere con le sorelle.
Nel 1873 Pascoli ottiene una borsa di studi per l’Università di Bologna, dove si iscriverà alla facoltà di lettere. Qui conoscerà il socialista Andrea Costa, avvicinandosi al gruppo degli anarchici romagnoli e partecipando ai primi moti socialisti. Prenderà parte anche alla manifestazione in difesa di Gaetano Bresci, pagando lo scotto della prigione, dove sarà detenuto per tre mesi assieme ad altri anarchici. Qui finirà la sua attività politica, in favore degli studi accademici, che riprenderà di lì a poco presso l’Università romagnola. Nel 1882 si laurea.
Comincia a questo proposito la sua attività di professore, che lo vedrà insegnare latino e greco presso alcuni dei più prestigiosi licei italiani.
Nel 1906 succederà alla cattedra del Carducci, suo mentore.
Comprerà quindi una casa a Castelvecchio dove si trasferirà con le sorelle. Morirà nel 1912, poco tempo dopo la conquista italiana della Libia. Proprio in occasione di questa impresa scriverà il famoso saggio “La Grande Proletaria si è mossa” e quello sulla poetica del “Fanciullino”.
Pascoli, fu il poeta più importante del Decadentismo, che ha influenzato la poesia del 900, che dalla sua poetica trarrà il gusto delle piccole cose. Egli dava molta importanza al nido, che rispecchiava la famiglia. Per Pascoli, il compito del poeta è quello di scoprire come stanno realmente le cose. Pascoli nelle sue poesie, trae ispirazione dalle cose della vita quotidiana. Il poeta, secondo lui, è come un fanciullino che scopre le cose intorno a sé con meraviglia e ne intuisce i segreti, il fanciullino è anche colui che ci fa provare emozioni e ci fa osservare poeticamente il mondo. La poesia è quindi, trovare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima.
Il paesaggio è protagonista di ogni lirica. La scienza dell'età del Positivismo, secondo Pascoli, accresce lo spavento dell'uomo di fronte al suo destino di dolore e di morte; perciò gli uomini sono sempre più insicuri e potranno trovare consolazione solo se impareranno a vivere con sentimenti di fraternità e di amore per affrontare insieme il doloroso mistero della vita.
In Pascoli, l’io poetico non è un superuomo come in D’Annunzio, ma un fanciullino. La differenza è grande, eppure il fanciullino pascoliano condivide con il superuomo dannunziano l’individualismo: tutto nasce dall’io-poeta, che è il centro del mondo.
la raccolta che più lo renderà famoso sarà “Myricae” (da tamerici, fragili arbusti di dimensioni umili, in cui si rifà alla prima egloga delle Bucoliche del poeta latino Virgilio).
In Myricae, raccolta di poesie di Giovanni Pascoli, egli proporrà una collezione di temi quotidiani, in cui prevarrà sostanzialmente il paesaggio rurale di una campagna novembrina, autunnale. Su questo sfondo bucolico, espressione dell’angoscia e dell’inquietudine del poeta, comparirà ricorrente la presenza della nebbia.
Myricae: La prima edizione del 1891 comprendeva 22 poesie; nell'edizione definitiva, del 1903, ve ne erano 156. I temi che predominano nella raccolta sono quelli della morta e della natura sempre affrontati cono attraverso una minuziosa attenzione al dettaglio. Gran parte attinge dalle proprie vicende familiari e dal mondo della campagna.
Ma la novità della poesia di Pascoli consiste nel riuscire a caricare i particolari minimi di sensi e significati simbolici. Sviluppò, così, un'idea di poesia in sintonia col simbolismo europeo. L'opera è caratterizzata da un'estrema varietà metrico-stilistica e linguistica: Pascoli abbandona i modelli tradizionali e si avvale di un linguaggio estremamente diversificato, che spazia da vocaboli di uso dialettali a colti e specialistici e concede ampi spazi all'onomatopea. Anche la sintassi tradizionale viene abbandonata: la percezione alogica, intuitiva e musicale del mondo si concretizza attraverso l'abolizione dei nessi logici.
Altra importante raccolta del Pascoli prende il nome de “I Canti di Castelvecchio”, ispirati alla permanenza del poeta presso l’omonima località, in cui il poeta si interrogherà su questioni quali il mistero e l’angoscia del vivere.
Nei “Poemi Conviviali” (poemetti in versi), che appariranno per la prima volta sulle pagine della rivista Il Convito, Pascoli proporrà temi di reminiscenza classicheggiante, in cui sarà riservato uno spazio particolare alla presentazione di valorosi eroi del passato.
Nei “Carmina” verranno proposte alcune liriche in lingua latina, anche a ricordare i successi riportati durante svariati concorsi letterari ad Amsterdam (9 volte di fila).
Poetica di Giovanni Pascoli
Apparentemente ci si sorprende della semplicità dei testi pascoliani, ma prestando un po’ d’attenzione ed entrando nel merito della poesia, accentuata emerge l’influenza del simbolismo.
Nelle poesie di Pascoli si può osservare una straordinaria capacità ricettiva, in grado di celebrare la totalità delle emozioni che una situazione può suscitare. Anche la più banale delle sensazioni riveste importanza fondamentale ai fini di un forte impatto emotivo, che caratterizza le opere di questo poeta.
L’importante è cogliere tutto con immediatezza e spontaneità tipiche dello spirito infantile, il poeta si identifica nell’uomo capace di regredire all’infanzia ed essere bambino.
Tale è l’atteggiamento che il poeta assumerà nel suo approccio con la realtà, manifestando quella genuinità e quel senso di meraviglia tipici degli spiriti puerili.
Lo sperimentalismo stilistico di Pascoli
Sul piano lessicale mescola termini precisi a volte tecnici, specifici dei linguaggi settoriali (natura, lavoro nei campi), a parole umili. Frequente è l'uso del fonosimbolismo, in particolare allitterazioni e onomatopee. Le figure retoriche predilette sono l'analogia e la sinestesia (vista olfatto, vista udito).
Temi emergenti nelle opere di Giovanni Pascoli
- Campagna: atmosfera immersa nella nebbia e nel silenzio, sotto una luce crepuscolare. Questo paesaggio dice tutta l’inquietudine dell’animo scosso del poeta, presentando spesso aspetti drammatici.
- Umanitarismo: ricorrente invito alla fratellanza e al rispetto reciproco, riconducibile alla traumatica morte del padre.
- Tragedia famigliare: in relazione alla propria esperienza di lutto, in particolare alla morte del padre, avvolta nel mistero.
- Visione distorta della sessualità: manifestata in maniera eclatante della lirica del “Gelsomino Notturno”.
Il rapporto di Pascoli con la sessualità è tormentato e complesso. Da un lato, egli la vede con l'occhio di un adolescente. Trova in essa qualcosa di affascinante, ma allo stesso tempo ne è ripugnato. "Il gelsomino notturno" è uno dei pochi esempi in cui il poeta parli della sessualità quasi esplicitamente, benché faccia ricorso ai simboli. Si tratta di un componimento atto a celebrare la nascita del figlio di un amico: il tema l'accoppiamento e della riproduzione viene celato dietro una sottile coltre ermetica. Pur non essendo credente, il Pascoli considerava i rapporti amorosi come atti immondi e peccaminosi.
- Nebbia: uno dei motivi ricorrenti della lirica pascoliana, assume un’accezione non del tutto negativa, si pone come qualcosa che avvolge, limitando la vista ad una realtà circoscritta, dimensione ricercata dal poeta. La nebbia rappresenta per il poeta decadente un riparo dalla vastità romantica, il nido sicuro entro cui rifugiarsi (X Agosto: padre assassinato mentre fa ritorno al nido famigliare, come una rondine che non fa in tempo a mettersi al riparo).
- Paura della morte: l’angoscia che questa scatena dall’animo umano ci mette a contatto con una dimensione sconosciuta, che fa paura. Questo è il contrario di ciò che accadeva nel Romanticismo, in cui essa assume invece connotazione positiva, di quiete.
- Dimensione onirica: dimensione ricercata in tutto il Romanticismo, correlata alla notte, spesso vista sotto un’ottica positiva. Al contrario, durante il decadentismo il sogno diventa quella dimensione attraverso cui l’uomo esprime gli istinti più reconditi, che possono dar luogo ad azioni riprovevoli, imprevedibili e incontrollabili. È l’inconscio che genera quegli istinti irrefrenabile che l’uomo sa di avere, senza però poterli controllare.
- Simbolismo: ereditato da Baudelaire (uccelli: rondine, assiuolo; fiori: gelsomino).
La novità che introduce il Pascoli è sicuramente l’innovativo linguaggio lirico, alla base di tutte le avanguardie poetiche del Novecento
La poetica del fanciullino: in questo saggio, scritto nel 1897 ed edito nel 1903, Pascoli spiega come il poeta deve rapportarsi alla vita. Ovvero, deve far emergere dal suo intimo quella voce di bambino che, con l’avanzare dell’età si tende a sopprimere. Dacché solo il fanciullo vede chiaramente come è la realtà, è bene rivalutare quegli atteggiamenti tipici dell’età infantile.
Per ovviare a quel vuoto di valori, al male di vivere, il poeta si rifugia in una dimensione dove tutto viene recepito attraverso un certo senso di stupore, meraviglia.
Dentro di noi un fanciullino continua a vivere, un bambino che teme la morte
Giovanni Pascoli si può definire uno sperimentatore di emozioni, interessato al modo con cui il fanciullino si rapporta alla realtà, con ingenuità, autenticità e irrazionalità.
Il poeta è colui che vede ciò che il comune uomo non vede, diventa veggente, dotato di una certa sensibilità.
Questo dà una spiegazione dell’apparente facilità della lirica pascoliana, quasi banale a un primo sguardo.
IL LAMPO di Giovanni Pascoli -
dalla raccolta Myricae.
IL LAMPO testo |
IL LAMPO Parafrasi |
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto; il cielo ingombro, tragico, disfatto: bianca bianca nel tacito tumulto una casa apparì sparì d’un tratto, come un occhio, che, largo, esterrefatto, s’aprì si chiuse, nella notte nera.
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E il cielo e la terra si mostrarono quali erano: la terra affannata, buia, in fermento; il cielo colmo [di nuvole], tragico, a pezzi: una casa bianca bianca apparve [e] sparì di colpo nella tempesta silenziosa (tacito tumulto); come un occhio che, spalancato, stupito, si aprì [e] si chiuse, nella notte buia (nera). |
Metro: ballata “piccola” di due strofe di endecasillabi a rime libere (schema: A BCBCCA).
Il lampo è una ballata in due strofe in endecasillabi e rime libere inserita da Giovanni Pascoli all’interno della raccolta Myricae del 1894
E' una poesia connotata dalle sensazioni visive, in cui la caduta di un lampo, che illumina il panorama circostante, rievoca le sensazioni suscitate in Pascoli dalla notizia della morte del padre. Notizia che si è abbattuta con la potenza del fulmine e la cupezza del temporale sulla casa dell’autore, turbandone irrimediabilmente gli equilibri e tranquillità.
Ha un evidente valore simbolico, poiché racconta, attraverso metafore evocative di un paesaggio sconvolto dal temporale, la morte del padre di Pascoli.
Il tema della morte del genitore- Ruggero Pascoli viene ucciso il 10 agosto 1867 - torna in maniera ossessiva nella produzione pascoliana, come in X Agosto o ne La cavalla storna (nei Canti di Castelvecchio).
La poesia descrive il fenomeno del lampo con tratti tipicamente impressionistici, raffigurando con immagini visive e tocchi di colore lo sconvolgimento che l’imminente temporale, preannunciato dal bagliore del fulmine, produce sull’ambiente circostante. L’intento del poeta non è però quello di rappresentare il paesaggio in modo realistico ma piuttosto quello di penetrare l’angoscioso mistero della natura, cogliendone i significati simbolici più intimi e nascosti.
Il fenomeno atmosferico capace di mostrare il vero volto della terra e del cielo viene assunto nella poesia a elemento rivelatore.
Il lampo, che col suo rapidissimo sfolgorio squarcia per un attimo la cupa tenebra notturna, svela una realtà tragica e sconvolta, inquietante per lo stato di disfacimento in cui si mostra. E questa improvvisa e sinistra illuminazione diviene allora simbolo di un’altra rivelazione: il destino di dolore, l’angoscia esistenziale che coinvolge tutta l’umanità.
analisi e figure retoriche
Il lampo è inserita nella raccolta Myricae.
È costituita da due strofe, più precisamente da un verso-strofa e da una sestina. Le rime sono libere e seguono il seguente schema: A, BCBCCA; c’è inoltre la rima interna nel verso 5 «apparì sparì».
Rimano «sussulto» (v. 2) e «tumulto» (v. 4): si tratta di due onomatopeiche, che hanno la funzione di richiamare i suoni cupi e violenti del temporale, che, simbolo del male nel mondo, sconvolge al natura.
La rima tra «disfatta» (v. 3), «tratto» (v. 5) e «esterrefatto» (v. 6) evidenzia il tema dell’uomo che prende coscienza del male che domina il mondo. Unica speranza di salvezza è il nucleo familiare rappresentato dalla casa, che appare per un breve istante (immagine evidenziata anche dalla rima interna «apparì sparì») nel cielo illuminato dal lampo. Questa brevissima apparizione è paragonata a un uomo che, di fronte al male, apre gli occhi fino a spalancarli per la paura, per poi chiuderli del tutto. Perciò l’immagine di questa casa «bianca bianca» non è consolatoria, quasi a significare che non c’è alcuna speranza di salvezza dal male che domina il mondo.
Figure di suono: la poesia presenta una fitta trama sonora. L’allitterazione (u-t-r-s) ha un valore onomatopeico: contribuisce, insieme alle onomatopee («tumulto» e «sussulto»), a riprodurre il suono cupo e violento del temporale, che sconvolge la natura.
Figure di ordine: il primo verso presenta un’enumerazione («E cielo e terra»), che ha lo scopo di accelerare il ritmo. Nel secondo e terzo verso troviamo in ciascuno un climax ascendente: il primo evoca l’immagine della terra scossa dal temporale («la terra ansante, livida, in sussulto»), che trasmette un senso di agitazione. Il secondo, invece, evocando l’immagine del cielo coperto da nubi cariche di pioggia e sconvolto dai lampi e dai fulmini («il cielo ingombro, tragico, disfatto»), comunica tragicità ed inquietudine. L’ellissi (del verbo) e l’asindeto, sempre nei medesimi versi, accelerano il ritmo ed eccentuano il potere evocativo.
Nel quarto verso l’iterazione «bianca bianca» evidenzia l’immagine della casa, cha appare per un istante nel silenzio del cielo nero, illuminato per un attimo dal tuono.
Nel settimo verso troviamo il climax «largo, esterrefatto», che accentua l’immagine dell’uomo che, preso coscienza del male nel mondo, apre gli occhi, spalancandoli, impaurito, davanti all’immagine di una natura sconvolta, simbolo del male nel mondo.
Figure di significato: la personificazione della terra e del cielo (vv. 2-3) contribuisce ad accentuare il potere evocativo. La terra e il cielo appaiono sconvolti, turbati, agitati dal temporale, così come lo è l’uomo, dopo aver preso coscienza del male che domina il mondo. L’unica speranza di salvezza è il nucleo familiare.
"NOVEMBRE" di Giovanni Pascoli -
dalla raccolta Myricae.
Myricae prende il nome da una poesia di Virgilio. Significa tamerici. Le tamerici sono delle piante semplici come le sue poesie, dato che per Pascoli le cose semplici e piccole sono molto importanti e sono degne di stupore come viene esposto nella sua filosofia del fanciullino per qui le piccole cose destano tanta meraviglia.
TESTO
Gemmea l'aria, il sole così chiaro che tu ricerchi gli albicocchi in fiore, e del prunalbo l'odorino amaro senti nel cuore…
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante di nere trame segnano il sereno, e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate, odi lontano, da giardini ed orti, di foglie un cader fragile. E' l'estate fredda, dei morti. |
PARAFRASI
L’aria è limpida e fredda come una gemma (gemmea
l’aria – metafora e sinestesia - gemmea – dall’aggettivo latino gemmeus), il sole è così luminoso che tu (il poeta usa la seconda persona
con valore generico, impersonale) ricerchi [con lo sguardo] gli albicocchi in fiore, sentendo nel cuore (non nelle radici) l’odore amarognolo (odorino amaro – sinestesia – odorato+gusto) del biancospino (prunalbo).
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METRO: Tre strofe saffiche composte da 3 endecasillabi e un quinario a rime alternate. Schema: ABAb. |
FIGURE RETORICHE •(gemmea l’aria – metafora e sinestesia - gemmea – cesura nel verso 1: il verso è diviso a metà dalla virgola
“Odorino amaro” è una sinestesia (figura
stilistica che, mette insieme due sensi diversi, in questo caso odore + gusto) un senso olfattivo con un senso gustativo. Si ha una sinestesia quando vengono unite due sensazioni
diverse. • metonimia “sereno” 2strofa 2 verso • del prunalbo l'odorino amaro ( ANASTROFE) • di foglie un cadere fragile (anastrofe) • e vuoto il cielo (ellissi del verbo) • enjambements : 2strofa 1 verso; 3 strofa 1 verso Numerosi gli enjambement (in particolare vv.1-2, 7-8, 11-12 ).
Numerosi anche gli iperbati: secco è il pruno (v.5), stecchite
piante (v. 5), vuoto il cielo (v.7), sembra il terreno (v.8), di foglie un cader fragile (v.11). Della f nel verso 11 sottolinea l'idea del vento •polisindeto 2 strofa ci sono tante congiunzioni (e) •asindeto 3 strofa Non ci sono congiunzioni ma virgole Mentre nella prima strofa il verso ha una musicalità dolce nelle strofe seguenti il poeta frantuma il verso, attraverso l’uso di virgole e altri segni di interpunzione, annullando così la musicalità dei versi e conferendo maggiore drammaticità.
Messaggio dell'autore Una serena e tersa giornata di novembre può per un attimo suggerire un'illusione di primavera e riportare quasi il profumo degli albicocchi in fiore. Ma si tratta di un'illusione che presto scompare, e alle iniziali impressioni subentra la constatazione di un inverno che non è solo indicazione stagionale ma metafora dell'esistenza. In questa poesia, come spesso accade in Pascoli, il paesaggio mostra un duplice aspetto. Sotto un'apparenza di armonia e di positività possono nascondersi la presenza e la minaccia della morte. Quindi una giornata mite e serena può trasmettere per un attimo la sensazione di vivere il tepore della primavera, mentre in realtà è novembre. In questo mese cade la cosiddetta "estate di San martino", termine con il quale Pascoli ha voluto fondere due caratterizzazioni particolari, quali: la presenza frequente di giornate calde, quasi estive, e la ricorrenza dei morti che cade agli inizi di novembre. Nella prima strofa vi è inizialmente un'immagine primaverile (gemmea l'aria - il sole è così chiaro), l'immagine di una giornata soleggiata nel mese di novembre, durante la cosiddetta "estate di S. Martino". Ma ciò che il poeta vuole realmente rappresentare è la breve illusione della felicità. Nella bella giornata autunnale, la luce del sole e l'aria limpida danno per un istante l'illusione che sia primavera. Ma subito ci si rende conto che le piante sono secche e spoglie, lo si può dedurre dal fatto che questi elementi aprono la seconda strofa. Quindi inutilmente si cerca di scoprire gli alberi in fiore e di percepire il profumo intenso del biancospino, perché è tutto un’illusione, infatti, Pascoli ha voluto iniziare con un “Ma”, che segna un netto rovesciamento della situazione precedente, è il ritorno alla realtà dopo l'illusione di dolcezza primaverile, quindi della delusione; ciò è evidenziato dalle parole chiave "secco – stecchite – nere – vuoto – cavo", le quali danno la sensazione di vuoto, di silenzio. Nella terza strofa viene confermata la realtà di morte, infatti, la poesia si conclude con la parola “morti”, preceduta da parole chiave (campo semantico della morte dalla seconda strofa) che contengono un significato di vuoto, solitudine: “silenzio – solo – lontano – fragile - fredda” .
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Analisi e commento:
Novembre fa parte della sezione In campagna della raccolta Myricae.
In apparenza questa poesia può sembrare un semplice quadretto campestre di descrizione naturalistica, in realtà rivela un intento più profondo di riflessione sulla precarietà
dell’esistenza.
Il poeta descrive un paesaggio novembrino della cosiddetta "estate di San Martino" (11 novembre) in cui la temperatura diventa momentaneamente più mite. Il paesaggio illuminato dal sole inganna
per un attimo e fa pensare che la primavera sia alle porte, ma si tratta solo di un’illusione e ben presto la realtà si impone e ci rivela che è fittizia ogni sembianza di vita perché su ogni
cosa regna un ineluttabile senso di morte.
Nella poesia vi è la compresenza di elementi visivi (l’aria tersa e limpida), olfattivi (l’odore del biancospino) e sonori (il suono del terreno calpestato o del cadere delle foglie).
La struttura del componimento è bipartita: la prima strofa descrive un paesaggio sereno, quasi primaverile e si contrappone nettamente alle altre due (attraverso un ma antitetico in
posizione forte all'inizio del verso 5) che riportano alla dura realtà dell’autunno; è la contrapposizione tra la realtà della morte (dell’inverno) e l’illusione della vita (della
primavera).
Il giorno di San Martino, l’11 di novembre, di solito regala temperature abbastanza miti, che fanno sperare nel bel tempo e, simbolicamente, nella possibilità diun’esistenza felice per l’uomo.
Si ricordi che il poeta, oltre alla drammatica morte del padre (ricordato ad esempio in X Agosto), subisce altri gravi lutti, tra cui la perdita di due fratelli: Luigi nel 1871 e Giacomo nel 1876.